[19/12/2007] Energia

Alberi, petrolio e multinazionali. La Russia inizia la battaglia di Sakhalin-2

LIVORNO Il servizio federale per la protezione dell’ambiente della Russia (Rosprirodnadzor) ha chiesto 390 milioni di rubli (circa 11 milioni di euro) alla Sakhalin Energy, un consorzio che opera nell’estremo oriente russo, anche con piattaforme petrolifere, al quale partecipa la multinazionale petrolifera Shell.

Sakhalin Energy e la Shell sono accusati di aver abbattuto moltissimi alberi per realizzare il progetto Sakhalin-2.
Mosca aveva già revocato la licenza ambientale al progetto e annunciato che il consorzio avrebbe dovuto pagare per ogni albero abbattuto e ogni fiume inquinato.

Secondo il direttore di Rosprirodnadzor Oleg Mitvol «i danneggiamenti causati dalla compagnia alle risorse forestali si elevano a 390.198.646 rubli. Se la compagnia si rifiuterà di versare la somma richiesta, le sarà ingiunto di farlo attraverso le vie legali».

Chris Finlayson, presidente della Shell Exploration and Production Russia, ha risposto duramente ai russi: «Non abbiamo nulla da nascondere e nulla di cui vergognarci per Sakhalin».

Il sospetto di molte multinazionali occidentali è che dietro il nuovo ed inaspettato interesse per l’ambiente di governo russo ci sia l’intenzione di sbarazzarsi in questo modo di scomodi concorrenti di Gazprom, per creare nell’estremo oriente russo una zona energetica, nella quale l’intera filiera del gas e del petrolio sia nuovamente e completamente sotto il controllo del governo centrale russo.

Davanti alle coste di Sakhalin, si troverebbero i più ricchi giacimenti di petrolio e gas del pianeta ancora da sfruttare, circa 13 miliardi di barili di greggio. I giacimenti di petrolio già in attività o in progetto, chiamati Sakhalin-1 fino a Sakhalin-6, hanno attirato colossali investimenti stranieri e le multinazionali petrolifere si sono precipitate, accolte inizialmente a braccia aperte dall’allora dissestata economia russa, costituendo un mega consorzio tra Exxon-Mobil, Chevron-Texaco, BP e Royal Dutch/Shell ed compagnie petrolifere, compresa la Gazprom con quote minoritarie.

Il più contestato di tutti i progetti, anche dai popoli indigeni che vedono il loro ambiente messo in pericolo da impianti di estrazione e oleodotti è proprio Sakhalin-2, del quale la Royal Dutch/Shell detiene il 55% del pacchetto azionario della "Sakhalin Energy Investment Company" costituita nel 1998 dalla Shell insieme alle giapponesi Mitsubishi (20%) e Mitsui (25%) la "Sakhalin Energy Investment Company" e che ha già investito per Sakhalin-2 oltre dieci miliardi di dollari. Il consorzio aveva stipulato un "production sharing agreement" con il governo russo per la partecipazione agli utili, cosa che evidentemente a Putin non basta più. La matassa è ancora più intricata, visto che i finanziatori del progetto sono l’americana Overseas Private Investment, la Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo e Japan Bank for International Cooperation.

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