[27/12/2007] Consumo

L´Ue: le pellicce di gatto non si possono vendere, quelle di volpe sì

LIVORNO. A partire dal prossimo anno sarà vietata la commercializzazione, l’importazione nella Ue e l’esportazione fuori dalla Comunità di pellicce di cane e di gatto e di prodotti che la contengono. Lo stabilisce il Parlamento e il Consiglio europeo con regolamento pubblicato oggi sulla Gazzetta Ufficiale europea.

Entro il 31 dicembre 2008 gli Stati membri dovranno definire le norme concernenti le sanzioni da applicare in caso di violazione del regolamento e garantire l’effettiva applicazione delle disposizioni regolamentari.

L’Unione europea adotta tale regolamento allo scopo di eliminare gli ostacoli al funzionamento del mercato interno e di indurre i consumatori a confidare nuovamente nel fatto che i prodotti acquistati non contengono pellicce di cane e di gatto.

Nella percezione dei cittadini dell’Unione europea infatti, cani e gatti sono considerati animali da compagnia, per cui non è accettabile usare le loro pellicce e i prodotti che le contengono (mentre è più accettabile usare pellicce di volpe, ermellino o altro). Ma esistono prove dell’esistenza nella Comunità di pellicce di cane e di gatto non etichettate e di prodotti contenenti tali pellicce. Per rispondere alle preoccupazioni dei consumatori dunque, numerosi Stati membri hanno adottato misure legislative volte ad impedire la produzione e la commercializzazione di pellicce di cane e di gatto.

Ma esistono divergenze fra le disposizioni degli Stati membri: alcuni hanno vietato totalmente la produzione di pellicce di cane e di gatto vietando l’allevamento e l’abbattimento di tali animali per la loro pelliccia; altri hanno adottato restrizioni alla produzione o all’importazione di pellicce e di prodotti che le contengono e altri ancora hanno stabilito prescrizioni in tema di etichettatura.

Di conseguenza, alcuni commercianti di pellicce dell’Unione europea hanno adottato un codice di condotta volontario che prevede l’astensione dal commercio di pellicce di cane e di gatto e di prodotti che le contengono. Tuttavia tale codice si è rivelato insufficiente per impedirne l’importazione e la vendita, soprattutto nel caso dei commercianti che trattano pellicce la cui specie d’origine non è indicata e non è facilmente riconoscibile o che sono esposti al rischio che tali prodotti non possano essere legalmente commercializzati in uno o più Stati membri.

Dunque, per armonizzare le norme vigenti degli Stati membri e per eliminare l’attuale frammentazione del mercato interno l’Ue sceglie di imporre il divieto di commercializzazione ma anche quello di importazione (perché la maggior parte dei prodotti sembra pervenire dai paesi terzi), di esportazione (per evitare la produzione per la sola esportazione) e accantona l’idea dell’obbligo dell’etichettatura. L’etichetta non permetterebbe di giungere al medesimo risultato ma imporrebbe – sempre secondo la Comunità – un onere sproporzionato all’industria dell’abbigliamento compreso gli operatori specializzati in pellicce finte e comporterebbe costi sproporzionati nei casi in cui la pelliccia rappresenta solo una minima parte del prodotto.

Viene da chiedersi però, perché il divieto coinvolga solo i cani e i gatti e non altri tipi di animali che ugualmente hanno una pelliccia come i cincillà oppure che non la hanno ma che ugualmente vengono allevati.

Eppure anche il ministero della salute in un documento medico scientifico redatto dal suo centro di referenza nazionale per il benessere degli animali ha denunciato la sofferenza di aragoste e astici vivi con chele legate e su letto di ghiaccio durante la fase di commercializzazione. Non solo, il Tribunale di Vicenza nel 2006 ha emanato un decreto penale di condanna ad un ristoratore reo di aver maltratto gli astici, o la stessa Procura di Milano (6 novembre 2006) ha emanato un decreto penale di condanna contro un ristoratore milanese. Ma comunque sia niente che impone il divieto della loro commercializzazione, esportazione e importazione. Perfino l’associazione animalista Lav, in questi giorni di super-consumi di crostacei, insorge sui metodi dell’esposizione dei crostacei al fine della vendita, ma non sulla loro commercializzazione.

E allora viene da pensare che forse il mercato dei gatti e dei cani domestici ha un valore superiore rispetto al mercato legato alla commercializzazione delle loro pellicce: forse il commercio di cibo, di accessori, di medicinali, di cure “mediche” tira di più rispetto a quello del mero allevamento al fine di ricavarne una pelliccia.

Pensiamo per esempio a Ferplast, l’azienda italiana che è diventata leader nel mercato non food per gli animali, producendo accessori e confort per gli animali domestici: il suo giro d’affari nel 2006 è stato di circa 90 milioni di euro, ha già tre siti produttivi uno in Italia e uno in Ucraina e si appresta ad aprirne un altro nella Repubblica Ceca.

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