[28/12/2007] Energia

Chavez e il petro-socialismo caraibico

LIVORNO. La sconfitta al referendum costituzionale non sembra aver diminuito la vitalità politicamente debordante del presidente del Venezuela Hugo Chavez, mentre tutto il mondo segue le sue gesta per il rilascio degli ostaggi delle Farc colombiane, Chavez ha segnato forse un punto ancora più importante, anche se meno mediaticamente visibile.

Nei giorni scorsi si è tenuto a Cienfuegos, a Cuba, il quarto Petrocaribe, il summit petrolifero dei Carabi, un’iniziativa partita proprio dal Venezuela per approvvigionare a prezzi concorrenziali i sui vicini dei Carabi e dell’America centrale, un patto che controbilancia la egemonica l’influenza Usa nella regione e mette in buona luce il discusso Chavez.

Il presidente venezuelano ha proposto un meccanismo di baratto, che permetterà ai Paesi caraibici di scambiare il petrolio venezuelano con i loro prodotti e servizi, ed ha anche chiesto di costruire raffinerie nei vari Paesi che si affacciano sul mar dei Carabi per aumentare la vendita di greggio nella regione, senza doverlo cedere agli odiati Stati Uniti.

Chavez ha detto che favorirà la concessione di fondi speciali destinati ad aiutare i Paesi caraibici a sviluppare l’energia solare, la geotermia e l’eolico ed altre fonti alternative, un vero e proprio invito a nozze per Paesi che hanno sole, vento e vulcani in abbondanza.

Petrocaribe raggruppa 17 Paesi dei Carabi e del Centroamerica ed è stata fondata nel 2005 a La Cruz, in Venezuela, con l’obiettivo di fornire petrolio ai “fratelli” dei Carabi, ad iniziare da Cuba che è riuscita così ad allentare l’embargo Usa e che, in cambio fornisce al Venezuela insegnanti e medici.

I Paesi membri di Petrocaribe sono autorizzati a beneficiare di una dilazione di 25 anni per pagare il 40% dei loro acquisti di greggio venezuelano, con un tasso di interesse dell’1%, un affarone con il petrolio ormai a cento dollari al barile.

Il Venezuela è l’unico membro latinoamericano dell’Opec e le sue riserve petrolifere finora esplorate sono stimate in 88 miliardi di barili, quelle di gas dovrebbero raggiungere i 4.190 miliardi di metri cubi. Ma le risorse potrebbero salire a 316 miliardi di barili di petrolio alla fine della prospezione del bacino del fiume Orinoco.

Una ricchezza che Chavez sta giocandosi come carta contro l’invadente vicino nordamericano e come assicurazione di sopravvivenza politica per la sua ambiziosa e originale Marcia verso il petro-socialismo-bolivarista ed anche per questo chiede che venga realizzato un gasdotto che colleghi il Venezuela al resto dell’America del sud, intanto ha in progetto un gasdotto sottomarino che attraverserà il mar dei Carabi per raggiungere Cuba.

Agli altri 16 Paesi del Petrocaribe non è rimasto altro che elogiare «la generosità del Venezuela», sottolineando che l’organizzazione è diventata «un meccanismo strategico suscettibile di garantire la sicurezza energetica regionale», proprio quello che voleva un Chavez sempre più scomodo per l’occidente e sempre più amato dai suoi poveri e piccoli vicini che non si possono permettere il lusso di essere schizzinosi con l’intemperante, ingombrante ma disponibile presidente del Venezuela e con la sua strategia rivoluzionaria che, invece dei guerriglieri guevaristi, invia all’estero gas e petrolio a basso costo.

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