[28/12/2007] Parchi

Sono già 40 mila le firme contro la caccia in deroga

LIVORNO. La Lipu annuncia che sono già state raccolte 40mila le firme contro la caccia in deroga ai piccoli uccelli protetti, 10mila direttamente online nel sito www.lipu.it.
La Lipu aveva avviato la campagna a settembre e conta di concluderla nell’estate 2008 prima dell’apertura della prossima stagione venatoria, l’obiettivo è quello di raccogliere almeno 100mila firme per chiedere a governo, Parlamento, regioni e province autonome, di abrogare in Italia la caccia ai piccoli uccelli, che sottolinea la Lipu «colpisce specie protette come storni, fringuelli e peppole, abbattuti fino a un milione ogni anno in Italia per motivi ludici. Le deroghe “per divertimento”, previste dall’articolo 9.1.c della Direttiva comunitaria “Uccelli”, sono quelle non dettate da ragioni di sicurezza, salute pubblica o danni alle colture, da ragioni puramente ludiche e non dettate da reali “necessità”».

Gli ambientalisti se la prendono soprattutto con il Veneto, che nel 2007 ha permesso la caccia in deroga a storno (come la Toscana), peppola e fringuello e Lombardia che ha lasciato abbattere peppole e fringuelli. «Questa tipologia di caccia in deroga – dice Elena D’Andrea, direttore della Lipu - è anacronistica e ingiustificata, e viene effettuata in violazione della Direttiva comunitaria. Infatti, anziché “piccole quantità”, come previsto dalla legge, vengono uccisi ogni anno nel nostro Paese almeno un milione di piccoli uccelli, spesso più minuti della stessa cartuccia che li uccide».

Nel 2006 l’Unione Europea ha avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia e contro 12 regioni, contestando l’uso usuale e abnorme delle deroghe «che da situazione eccezionale – sottolinea la LIpu - attivabile in casi speciali e attraverso procedure rigorose, si è trasformata in quello che la Commissione europea ha definito “una sorta di regime semipermanente di caccia agli uccelli rispetto ai quali la caccia è vietata”». Secondo gli ambientalisti le delibere regionali non sono altro che «un trucco per cacciare di più. Ma un trucco che, in caso di condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia europea, potrebbe costare molto caro alle tasche dei contribuenti italiani: la sanzione potrebbe raggiungere infatti alcune decine di milioni di euro».

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