[07/01/2008] Consumo

Il Papa e la globalizzazione del pollo

LIVORNO. Ieri Benedetto XVI ha lanciato l´allarme contro i pericoli della globalizzazione con accenti che, detti da altri, avrebbero fatto gridare all’estremismo radicale. «La globalizzazione – ha detto il Papa - non è stato, purtroppo, sinonimo di benessere generalizzato. Anzi, nel mondo globalizzato si è accentuata l’ingiusta divisione dei beni ed è così aumentata la disperazione».

In Occidente i moniti del pontefice, interprete di una Chiesa che è comunque testimone di ingiustizie in tutto il mondo, quando toccano queste corde sono visti più o meno come un elemento dovuto, un orpello di mortificazione delle coscienze cristiane, una cosa poco importante che non disturba troppo la nostra orgia consumistica. Si preferisce scannarsi sulla legge sull’aborto, le coppie di fatto e tutto quel che si muove sotto le lenzuola coniugali ed extra. Tanto ognuno continuerà a fare come gli pare. Eppure il Papa parla della sostanza del mondo e dell’ingiustizia e mette sempre più in discussione, da un punto di vista religioso che si fa politico, un modello di crescita alienante anche e soprattutto per l’uomo. Ed è in questo contesto, vedendo l’umanità come custode del creato, che la chiesa si avvicina alle tematiche ambientali ed alla condivisione armoniosa delle risorse.

La chiesa ha ben presente quella che potremmo chiamare la questione del pollo che non è più (o meglio non è più solo) di quanti polli a testa tocchino in realtà ad ogni abitante della terra, ma quali parti gli tocchino. L’articolo di Giampaolo Visetti su Repubblica sulla rivolta contro le cosce di pollo vendute nei mercati del Camerun esprime bene questa nuova realtà e ci racconta un’Africa (e un mondo) divisa tra nuove occasioni ed antichi e recenti rancori contro i vecchi colonizzatori che utilizzano nuovi metodi e perpetuano antiche rapine, prendendo la materia prima e restituendo scarti e frattaglie poco pregiate dal banchetto dei Paesi sviluppati.

Nel mondo ci sono più o meno nove polli a persona, circa 52 miliardi. Di questi ne viene mangiato il 75% circa. Una novità, visto che prima i polli servivano soprattutto ad assicurare le preziosissime uova e che, come dice non a caso un proverbio, «gallina vecchia fa buon brodo».

La carne di pollo era un lusso anche in Italia almeno fino ai primi anni ’60. Poi la globalizzazione della carne è partita proprio dall’universale “pollo”, che non ha addosso alcun fastidioso divieto religioso che pesa altrove, sulle mucche o sui maiali. Una trasformazione industriale ed intensiva, una vera e propria spietata macchina di produzione di carne a basso prezzo basata su sole tre razze di Boiler, i polli da carne selezionati in America ed in mano a grandi multinazionali. Un enorme mattatoio che produce femmine e esemplari castrati chimicamente.

Un’industria basata su sterminate integrated chicken units distribuite tra America, Asia ed Europa che ha selezionato anche i gusti dei consumatori, indirizzando quelli occidentali verso il petto carnoso e più facile da lavorare, cucinare, far ingurgitare comodamente, le cosce vanno (o tornano) in Africa ed America latina, le carcasse e le interiora finiscono ai poverissimi dei paesi occidentali, ai pensionati dell’ex Urss, che se le dividono con la florida industria dei cibi per cani e gatti, mentre la zampe dei polli occidentali vanno a finire in Cina, dove si allevano già oltre 3 miliardi di volatili, per essere riutilizzati localmente e magari tornare sulle nostre tavole sottoforma di preparati alimentari.

Standardizzazione, ridistribuzione degli scarti, creazione di prodotti di diverso valore partendo dalla stessa merce, distribuzione dei “rifiuti” nei Paesi in via di sviluppo per compensare un mercato che ormai si basa su una parte del tutto, artificializzazione della produzione e crescita accelerata dei polli da macellare…

Il pollame sembra l’esemplificazione di una produzione senza anima che rifornisce merci senza più farsi domande, con la trasformazione di una cosa vivente in un pezzo di materia organica da incellofanare in una vaschetta di polistirolo. Noi consumatori da ipermercato non ci chiediamo più il come ed il perché, il cibo è ormai cosa astratta, slegata dall’essere vivente che lo produce. Se lo chiedono invece i commercianti e i contadini di Yoaunde che, come il Papa, accusano la globalizzazione di averli fatti diventare la pattumiera del mondo. E quelle cosce di pollo che prima sarebbero sembrate un incredibile lusso, una benedizione degli antenati, ora sono il segno di un riconosciuto servaggio, di una tavola imbandita da altri che lascia ai poveri gli scarti a poco prezzo e che distrugge gli allevamenti di pollame locale.

Una macchina di consumi e scarti così potente da superare quasi indenne il terrore dell’influenza aviaria, che continua a colpire e ad uccidere in giro per il mondo, ma di cui non parla più nessuno, perché la dimenticanza-ignoranza della casalinga di Voghera è la base della globalizzazione del pollo e non può essere disturbata, nemmeno dalle prediche dell’Epifania e dai riti degli stregoni nei polverosi mercati dell’Africa più profonda.

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