[07/01/2008] Parchi

Il mistero delle balene franche della Patagonia

LIVORNO. L’aumento delle balene franche australi (Eubalaena australis) trovate morte sulle coste della Patagonia argentina sembra difficile da spiegare: tra ottobre e novembre del 2007 il numero degli spiaggiamenti è salito da 45 a 85 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e la preoccupazione sale non solo tra gli scienziati, ma anche fra gli operatori turistici, visto che le balene, che si esibiscono con i loro balzi fuori dall’acqua a pochi metri dalla costa, sono diventate la maggiore attrazione della zona.

La mortalità registrata è la più alta dal 1971.
Gli esperti che studiano il fenomeno mettono le morti in relazione alla “marea rossa”, cioè alla fioritura di alghe che avrebbero un effetto tossico sui grandi cetacei.

Alcune associazioni ambientaliste dell’Argentina stanno realizzando da 5 anni il “Programa de Monitoreo Sanitario de la Ballena Franca Austral” nella provincia del Chubut, monitorando la popolazione di balena franca australe che, con oltre 1.300 esemplari, è una delle maggiori del mondo (si stimano 3 / 4.000 balene franche australi sopravvissute in tutto il pianeta) e che tra maggio e dicembre raggiungono le coste della penisola di Valdez per riprodursi.

Anche lo studio delle carcasse non aiuta molto a risolvere il mistero, visto che gli animali morti raggiungono terra in stat o di avanzata decomposizione, dopo diversi giorni di permanenza in mare, rendendo problematica l’autopsia, ma l’ipotesi che va per la maggiore è quella dell’intossicazione da parte di tossine contenute in microalghe che anche nel 2007 hanno dato origine ad una marea rossa e che potrebbero accumularsi nel corpo dei grandi cetacei attraverso il cibo. Infatti, tra ottobre e novembre il Golfo Nuevo è stato interessato da una marea rossa molto intensa e proprio li si sono piaggiate più balene morte. I più colpiti sono i cuccioli che riceverebbero la tossina direttamente dal latte materno.

Gli indizi ci sarebbero, ma gli stessi ricercatori argentini invitano a non trarre conclusioni affrettate, anche se mettono in relazione la fioritura algale con la presenza degli scarichi della città di Puerto Madryn ed in particolare con l’impianto di trattamento dei reflui urbani ed industriali di El Doradillo che scarica direttamente a mare.

Gli scienziati scartano l’ipotesi delle denutrizione perché gli esemplari morti sembrano ben alimentati e con abbondanti riserve di grasso. Ma la causa potrebbe essere anche indiretta, le tossine potrebbero deprimere il sistema immunitario dei cetacei ed esporli maggiormente a malattie ed infezioni causate anche dalle ferite che i gabbiani infliggono sempre più di frequente alle balene per alimentarsi del loro grasso. Punture di spillo che combinate con l’intossicazione da alghe potrebbero rivelarsi mortali.
I ricercatori argentini lamentano una carenza assoluta di mezzi per studiare a fondo il problema, a cominciare da quelli per spostarsi tra isole e coste alla ricerca dei cetacei in difficoltà o appena deceduti, ma anche di combustibile, strumenti per l’autopsia e finanziamenti.

Intanto la Patagonia rischia di perdere la Balena Franca Australe, un pezzo della sua bellezza e un’attrattiva turistica insostituibili.

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