[10/01/2008] Consumo

Crescita e liberismo: due concetti novecenteschi

LIVORNO. Se nella prima pagina dell’inserto -di un quotidiano economico si afferma che “il mondo non è lineare” e si argomenta della “superiorità del complesso”, vuol dire che si sta sgretolando un paradigma che pone la crescita illimitata (che si muove quindi lungo una retta che parte da un punto e va verso l’infinito) come unica condizione per garantire uno sviluppo al pianeta. Il mondo infatti non è lineare, o per meglio dire non sono lineari i rapporti di relazione tra l’uomo e il pianeta in cui abita. La cosiddetta complessità “di un sistema” non è tanto una proprietà di tale sistema, quanto piuttosto una proprietà della rappresentazione scientifica attualmente disponibile del sistema. Per dirla in altre parole, per sistema complesso si deve intendere un “sistema il cui modello attualmente disponibile, costruito dall’osservatore del sistema, è complesso”.

“Un modo per descrivere i sistemi complessi è quello di studiare l’ordine o il disordine” scrive Guido Romeo su Nova, sino ad arrivare a scoprire che “il tutto è maggiore delle parti”.

E i sistemi complessi si trovano in uno stato di equilibrio instabile, tra loro e con l’ambiente; per questo non si può prescindere dall’ambiente in cui questi sistemi si trovano: da questo rapporto deriva la loro stessa sopravvivenza che può evolvere verso un equilibrio (dinamico) o verso il caos, a seconda del tipo di relazioni (scelte di natura politica ed economica) che si vanno a intraprendere con esso.

Individuare le condizioni che possono rendere compatibile lo sviluppo globale della società umana con il suo precario equilibrio al margine del caos è quindi parlare di sostenibilità.

Mantenere nella vaghezza i pur difficilissimi contorni concettuali di questa formula e non confrontarsi con i problemi concreti che derivano dall’attuazione della sostenibilità nei nostri processi di sviluppo ( on solo economico quindi) significa procedere a un’azione ingiustificata dal punto di vista scientifico e scorretta dal punto di vista sociale, economico e politico.

Innanzitutto è evidente che i sistemi produttivi e di consumo di una società futura - la cui necessità e desiderabilità si impone alla luce dell’attuale situazione ambientale, economica e sociale - saranno, per forza, diversi da quelli che sino a oggi abbiamo conosciuto.

La situazione attuale ci insegna che nell’immediato futuro dovremo essere capaci di passare da una società in cui il benessere e la salute economica sono misurati in termini di crescita della produzione e dei consumi materiali a una società in cui si possa vivere meglio consumando molto meno, evitando la dissipazione dei sistemi naturali, e quindi del capitale naturale, e sviluppando l’economia riducendo gli attuali input di energia e materie prime. Questo è il futuro. Altro che crescita senza se e senza ma di cui pontificava ieri Montezemolo dalle pagine dello stesso quotidiano!

Marcello Cini sostiene da tempo che «il passaggio dal XX al XXI secolo sia segnato da una trasformazione epocale che sta già cambiando - e ancor più lo farà nel prossimo futuro - il volto della società globale contemporanea». E questo passaggio sarà segnato da una svolta che investirà due sfere fondamentali dell’attività umana: «gli strumenti di conoscenza della realtà e quella della produzione dei beni necessari alla vita dei sette miliardi di individui della nostra specie».

La prima svolta investe quindi la scienza, che si è misurata nel secolo scorso con il dominio dell’uomo sulla materia inerte (la fisica), mentre nel secolo in corso sarà caratterizzato dalla ricerca del dominio sulla materia vivente (biologia) e del controllo sui fenomeni mentali e sulla coscienza. La seconda svolta sarà tesa a spostare il processo di accumulazione del capitale dalla produzione di materiali a quella di beni immateriali, la cui proprietà fondamentale, ci ricorda Cini, è che «la fruizione da parte di un "consumatore" non ne impedisce la fruizione da parte di altri. Perciò è improprio parlare di consumatori, perché le merci immateriali (a dire la verità, purtroppo, neache quelle materiali), in realtà non si "consumano"».

Anzi la conoscenza più si consuma, più si accresce ed è questa da essere annoverata tra i beni comuni. E questa dovrebbe essere allora la crescita verso la quale tendere, che è concetto assai diverso, appunto, da quello esposto ieri nel corso di una intervista di Luca Cordero di Montezemolo. Montezemolo sosteneva infatti, riferendosi alla situazione del nostro paese, che «il problema culturale di fondo è la scarsa consapevolezza che la crescita è l’unica via possibile, il vero problema comune» indicando esplicitamente un altro concetto di crescita: quella economica legata al Pil. Ovvero l´idea novecentesca e sviluppista (sia nelle versioni di tipo capitalista sia a quelle del cosiddetto socialismo reale) che ci ha portato ai rapporti allarmanti dell´Ipcc.

La crescita economica ha promesso di creare abbondanza, benessere e rimozione dei fattori di povertà, ma oltre ad averlo fatto in maniera diseguale garantendo uno sviluppo a dir poco squilibrato sul pianeta, ha aggredito le risorse naturali e gli equilibri dinamici degli ecosistemi, minandone profondamente le basi rigenerative e le capacità assimilative e, soprattutto nei paesi poveri, è diventata paradossalmente causa di povertà e scarsità.

Una crescita che segue la logica della dissipazione (anticamera del caos nei sistemi complessi) e che ad esempio per il comparto energetico, anziché rivolgersi alla possibilità di fonti in grado di rigenerarsi continua a pensare a sistemi legati a fonti finite. Sempre Montezemolo si lamentava, infatti, ieri (nella stessa intervista citata) non solo della nostra dipendenza da gas e petrolio come nessun altro paese, ma anche del fatto che «il greggio ha superato i 100 dollari al barile e ancora non abbiamo un progetto di diversificazione delle fonti che comprenda il nuovo (inesistente, ndr) nucleare». Che sempre più si sta dimostrando (vedi anche gli articoli di greenroport di ieri sull’argomento) lontanissima dall’essere la risposta energetica per il futuro.

Ma forse il presidente di Confindustria, che si ripropone di mettere in piedi un think tank alla fine del suo mandato, deve ancora meglio approfondire il concetto di complessità.

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