[11/01/2008] Comunicati

Dove può e dove deve portarci la scienza

LIVORNO. Lunedì prossimo si apre a Roma la terza edizione del Festival delle Scienze che si colloca in perfetta convergenza di intenti con l’Anno internazionale del pianeta terra, proclamato dalle Nazioni Unite per dimostrare gli straordinari risultati ottenuti negli ultimi anni dalle scienze della terra e spingere amministratori e politici ad applicare le conoscenze tecnico-scientifiche acquisite per favorire uno sviluppo concretamente sostenibile.

Un festival che si concluderà il 20 gennaio e che è impostato fin dall’inizio sul potenziale positivo che caratterizza la scienza per contribuire a uno sviluppo sostenibile del pianeta.
Nell´affrontare queste sfide globali il Festival delle scienze riunisce a Roma alcuni tra i più autorevoli scienziati, filosofi, economisti, politologi e politici internazionali, con particolare attenzione all´allargamento del dialogo verso esponenti del mondo asiatico, del Medio Oriente, dell’America Latina e dell´Africa. Una settimana fitta di incontri e dibattiti che si pone l’obiettivo di rispondere a una domanda cruciale: dove ci porta la scienza? O meglio: dove può portarci e dove vogliamo che ci porti nel prossimo futuro?

Domande che noi abbiamo immediatamente girato al coordinatore scientifico del festival delle scienze Vittorio Bo.
«Il festival è alla sua terza edizione, la prima la dedicammo unicamente alla ricerca, mentre nel 2007 fu costruita sull’evoluzione della vita. Quest’anno invece il titolo è "coScienza globale. Ambiente, risorse, energia, povertà: dallo sviluppo sostenibile all’interdipendenza planetaria". L’intento infatti è quello di evidenziare come può contribuire la scienza a indirizzare le politiche sociali, economiche, ambientali».

Ad aprire il festival sarà Rajendra Kumar Pachauri, presidente dell’Ipcc, il panel di 2500 scienziati incaricati dall’Onu di indagare l’entità dei mutamenti climatici e a cui quest’anno è stato assegnato il premio nobel per la pace.
«Non poteva essere altrimenti, ma nella settimana del festival parleranno altri grandi esperti, nobel, scienziati, economisti e persone che lavorano nel campo dell’economia ambientale. Questo perché vorremmo offrire un confronto aperto ma rigoroso, senza soluzioni preconfezionate ma senza neppure inutili allarmismi o informazioni approssimative: crediamo che il compito della scienza sia più che mai quello di fornire informazioni e strumenti capaci di far intraprendere ogni giorno le azioni più giuste per la nostra vita».

La divulgazione scientifica che ruolo ha in questo contesto?
«Io credo che quello che bisogna realizzare è un’inversione di tendenza. La scienza ci aiuta a vivere meglio e il nostro progresso è stato costruito proprio grazie alla scienza. Noi però adesso dobbiamo essere in grado di controllare noi stessi, di conoscere i nostri limiti non solo nei casi estremi della genetica per esempio, ma anche sulle questioni più quotidiane ma ugualmente vitali come quelle ambientali. La divulgazione scientifica ha questo compito e quindi prima di tutto credo che sia necessario smontare la paura che incute la scienza: dobbiamo essere coscienti dei rischi che corriamo, ma per spingerci a un più alto senso dei valori etici, sociali, ambientali».

Il compito di comunicare la scienza però rischia di essere abdicato sempre più spesso dagli scienziati: prevale da una parte una certa approssimazione nella divulgazione e dall´altra spesso si finisce per evidenziare solo gli aspetti più catastrofisti....
«Bisogna evitare che ciò accada, partendo anche da festival come questo: io credo che già le attestazioni di interesse che abbiamo ricevuto per coScienza globale stiano a significare che la gente sente il bisogno di dialogare con la scienza. Bisogna sforzarsi di farlo comprendere, perché davvero c’è il rischio che la scienza venga banalizzata dalla rete di intrattenitori mediatici che spargono spesso mezze verità. Gli inglesi usano un termine per definire questo nuovo ruolo che ha la scienza e che in italiano si potrebbe tradurre in "popolarizzazione della scienza". L’importante, ripeto, è che siano gli scienziato a farlo, e non chi non ha le basi culturali per farlo».

Luca Cavalli Sforza è un grande scienziato ma anche un grande divulgatore. Una volta disse che non c’è quasi nulla che gli scienziati non possano tradurre al grande pubblico, a patto di volerlo fare...
«Ha perfettamente ragione. La scienza deve rendersi conto che questo sta diventando il suo compito primario, altrimenti non saremo in grado di trasformare in opportunità i sistemi complessi che regolano il nostro mondo, a tutti i livelli, compreso quello economico».

Si spieghi meglio…
«Il tema delle complessità è ricco di fascino. Ieri c’era una pagina sul Sole 24 Ore. Ebbene la scienza può aiutarci a uscire dall’isolamento della linearità in cui siamo stati imprigionati per decenni: siamo stati abituati, anzi direi obbligati, a misurarci con l’unico parametro delle percentuali di crescita. Invece oggi si aprono nuove e interessanti prospettive che non dico assolutamente essere "la strada", ma sono comunque tentativi sui quali è importante sviluppare un dibattito: il tentativo della decrescita di Latouche, oppure quello della sostituzione del Pil con indici di benessere e qualità della vita…
L’inflazione per esempio non è solo un problema economico ma è frutto anche di dinamiche emotive: sappiamo quanto conta l’emozione nei comportamenti individuali e sappiamo quanto del nostro vivere quotidiano si basi, soprattutto in Occidente e dopo aver raggiunto il soddisfacimento delle esigenze primarie, sulle emozioni. Ecco allora che la grande sfida che l’umanità ha davanti e che può vincere anche grazie alla scienza è quella di mettere insieme tanti saperi per costruire modelli nuovi di sviluppo, perché la complessità non è negazione ma ricchezza, per ora solo potenziale».

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