[17/01/2008] Comunicati

(In) sostenibilità

LIVORNO. Sostenibilità? «Atteggiamento di sfiducia e scetticismo nei confronti delle forme tradizionali di organizzazione della vita politica e dello stato, caratterizzato dal rifiuto di qualsiasi presa di posizione ideologica e di ogni impegno civile». E’ ciò che suscita in noi (tranne il rifiuto dell’impegno civile) l’osservazione di quanto accade giornalmente nel nostro Paese. Peccato che sia anche la definizione della parola qualunquismo secondo l’ottimo dizionario De Mauro. Ed è sconsolante, ma la riflessione - che si sforza comunque essere costruttiva - ce la stimolano oggi l’intervista pubblicata dal Sole24Ore all’ex presidente Telecom Guido Rossi e appunto il quadro generale della situazione italiana.

Rossi dice sostanzialmente che il Belpaese sembra essere tornato al Medioevo, con leggi dettate dai mercati e politica subordinata all’economia. Uno “Stato” delle cose difficilmente contestabile (e da greenreport sostenuto da quando è nato) che cozza terribilmente con qualsivoglia logica e prospettiva di sviluppo sostenibile. Sviluppo sostenibile che è un orizzonte verso il quale tendere costellando il percorso di target che si devono raggiungere di volta in volta e che devono, e sottolineiamo devono, essere fissati dalla politica che a sua volta deve dunque orientare o riorientare l’economia proprio per centrare gli obiettivi stessi.

Ma se su questo greenreport ha le idee chiare e il nostro punto di vista è limpido, la confusione che si registra crea in noi non poca preoccupazione. Sorge infatti spontanea la domanda su quale politica sia in grado di compiere questa operazione che è complessa e ricolma di azioni che richiedono scelte difficili, estreme e da difendere fino allo stremo. Ed è qui che il tarlo del qualunquismo, dell’antipolitica e del generalismo, dai quali vorremmo comunque fuggire come dalla peste, rischia invece di affermarsi in questa società "poltiglia" come la definisce il Censis.

Come si fa infatti a non osservare che nel nostro Paese da destra a sinistra non si è capaci non di fare, ma neppure di avere un’unica posizione e di difenderla nei luoghi dove si decide (in seno alle istituzioni) e in quelli dove ci si ‘confronta’ con la gente (ormai praticamente solo sui mezzi di informazione)? Una schizofrenia allucinante e inaccettabile dove si riesce ad esempio a costruire faticosamente una finanziaria zeppa di iniziative importanti, ambientalmente parlando, ma che nella situazione data rischiano di restare sulla carta e comunque assolutamente sconosciute perchè nessuno si prende cura di difenderle e tutti si prendono cura di distinguersi. In questo modo la "pars costruens" non è mai sotto i riflettori mentre la scena è sistematicamente lasciata alla "pars destruens".

Il disastro sui rifiuti in Campania, ma la questione rifiuti in generale, è la quintessenza di quello che stiamo sostenendo. In 14 anni non si è riusciti a fare niente neppure di fronte a quella che è una vera e propria tragedia, riuscendo così a smentire persino i teorici del catastrofismo. Non c’è un politico che si prenda la responsabilità del non essere riuscito a governare questa situazione. Nemmeno con i commissari dei commissari dei commissari.

Ma pensare che questa sia solo una situazione campana sarebbe ancora più sbagliato. La Campania è la punta di un iceberg che avvolge tutta la nazione e dunque tutte le regioni. Basta guardare le rassegne stampa quotidiane per vedere che ognuno si presenta con la sua pietra filosofale e nessuno che gli entri in testa che la soluzione sta nell´agire insieme tutte quelle che si pensano pietre filosofali. Come dice Ugo Leone sul Manifesto di ieri "tutto in discarica; tutto incenerito; tutto riciclato. Chi propone scelte di questo tipo, nella migliore delle ipotesi non sa quello che dice". Eppure si continua.

Ma i rifiuti sono solo un esempio, perché la stessa cosa si può dire dei ritardi per gli allacci alla rete dei pannelli fotovoltaici, oppure degli ecobonus per le auto. Ripetiamo, non è un problema di fare le leggi, o di dire di fare, ma di fare e portare avanti un progetto perché ci si crede e perché una parte maggioritaria delle persone che democraticamente hanno eletto una parte politica ritengono giusto agire in quel modo. Fatta salva la giusta informazione, il dibattito e tutti gli strumenti democraticamente riconosciuti.

Scelte collettive, da difendere, il che significa – lo abbiamo detto tante volte - dover sopportare (giustamente e legittimamente) le proteste della minoranza che deve avere tutti i mezzi, a sua volta, per diventare maggioranza. E chi si crede maggioranza, si misuri con il consenso e non con i sondaggi. E’ la democrazia, ma è qui che casca l’asino perché invece di agire in questo modo- persi i riferimenti politici - si va dal bieco Cesarismo (uno che decide per tutti) al trito populismo (presunta decisione di tutti per nessuno).

Come ha detto un lettore sul Manifesto nei giorni scorsi in questo contesto anche a voler star dalla parte del torto non si capisce neppure chi ha torto! Ma tirando su la testa e volendo necessariamente uscire dal pantano qualunquista, crediamo che nella situazione data siano ancora i partiti (nel senso di quelli che rappresentano una parte) che possono, ritrovando la loro ormai persa funzione (pedagogica), rappresentare la collettività che si confronta, si conta e prende decisioni collettive. Se esistono forme diverse di certo non si vedono. E se ci sono sarebbe bene che venissero esplicitate perchè il tempo a disposizione per evitare che la poltiglia diventi qualche cosa di peggiore e di altro ci sembra oramai ampiamente scaduto.

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