[21/01/2008] Comunicati

Quanto pesa la pubblicità sull’ambiente?

LIVORNO. Quale è il costo ambientale di una campagna stampa pubblicitaria, di uno spot televisivo, dell’apposizione di un marchio pubblicitario su una borsa di plastica o su una maglietta? Una domanda che greenreport si è rivolta spesso parlando delle conseguenze molto materiali dell’economia “immateriale” ed alla quale in Francia cercano di dare una risposta con “EcoPublicité”, il primo strumento di valutazione ambientale delle campagne pubblicitarie. Un’idea che è venuta a PriceWaterhouseCoppers (Pwc) ed Havas Media France e che la stanno sviluppando con il contributo dell´Agence de l´Environnement et de la Maîtrise de l´Energie (Ademe) del ministero dell’ambiente e del gruppo Lvmh, uno dei leader del mercato del lusso che raccoglie i marchi Louis Vuitton e Moet Hennessy.

«Non abbiamo voluto stabilire un palmarès tra un media e l’altro – spiega a Novethic Alice Audouin, di Havas Media France, un’agenzia di acquisto di spazi pubblicitari - ma ottenere una comparazione tra i supporti di uno stesso media secondo criteri multipli. Ogni media è chiamato a fare progressi ambientali all’interno della sua industria». Un’analisi complessa che tiene conto anche del ciclo di vita dei prodotti e che non si limita alle emissioni di CO2, ma tiene conto di 10 parametri ambientali, compresi il consumo di risorse naturali e l’inquinamento prodotto in acqua, aria, suolo.

«Tanti i parametri da ottimizzare – dice Philippe Osset, di Ecobilan Pwc – Interessarsi solo al carbonio, equivale sovente a spostare solo l’inquinamento». Lo studio analizza il ciclo di vita della pubblicità di televisione, radio, stampa, affissioni ed Internet, passando dalla produzione, alla diffusione al recepimento. L’impatto ecologico di una pubblicità televisiva è più grande di quello della radio, anche prendendo in considerazione che la Tv si rivolge solitamente ad un nucleo familiare e la radio al singolo individuo.

Il gruppo Lvhm si è prestato ad un test per una campagna stampa di uno dei suoi marchi, con effetti sorprendenti. L’impatto misurato in emissioni è abbastanza basso, anche facendo le foto pubblicitarie in un luogo esotico, la variabile più impattante rimane quella della tiratura dei giornali dove appaiono i prodotti. EcoPublicité prende in considerazione il formato della pagina, la grammatura della carta, la tiratura media ed i metodi di distribuzione. In Francia, tra il 50 e il 60% della stampa è venduta dalle edicole, un sistema lontano dal diventare “immateriale”. Al contrario, la pubblicità su internet risente più delle spese di produzione.

Una maggiore efficienza ambientale potrebbe essere realizzata con scambi di dati tra i vari media ed i pubblicitari che sembrano estranei ai costi energetici della messa in opera delle loro idee. Le agenzie di comunicazione dovrebbero invece essere più esigenti sui materiali, mentre le aziende dovrebbero inserire l’impatto ambientale tra i criteri della loro offerta. L’obiettivo è quello di integrare la comunicazione nella responsabilità sociale di impresa (Rse). Le agenzie pubblicitarie dovranno passare attraverso Havas Media, che analizzerà anche i testi delle campagne e fornirà raccomandazioni in rapporto ai risultati ottenuti. Sarà disponibile anche una versione gratuita, “mono media”, che permetterà di farsi un’idea dell’impatto di ogni media e che sarà accessibile on-line su www.ecopublicite.com.

Ademe e Pwc lanciano un’ulteriore sfida: stabilire quale sia l’impatto ambientale degli stessi messaggi pubblicitari e, al di là dei contenuti, quanto ci sia di “greenwashing”, di pulizia dell’immagine ambientale delle imprese, nei messaggi pubblicitari e quanto rispecchiano impegni e buone pratiche effettivamente messi realmente in campo.

Infatti spesso l’ambiente è pura immagine esterna, opportunità di affari, mantenimento di reputazione, senza un reale adeguamento di strutture e consumi aziendali. Un atteggiamento sul quale sembrano indulgere le grandi agenzie pubblicitarie (anche se proprio alcune di queste hanno svolto un ruolo da “pioniere” e investono forti somme nella pubblicità verde), mentre, almeno in Francia, quelle medio-piccole sono più avanti, anche per occupare una nicchia di mercato sempre più promettente.


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