[22/01/2008] Consumo

Greenreportage: vecchie e nuove lezioni dall´Isola di Pasqua

HONGA ROA (Isola di Pasqua). Isolamento. La fine della civiltà Rapa Nui nasce principalmente da questa condizione in cui ha vissuto per secoli. Rinchiusi in quei pochi chilometri con un passato ormai dimenticato e un futuro che non andava oltre l’orizzonte, gli abitanti dell’Isola di Pasqua si sono infatti ripiegati su loro stessi, ossessionati da una religione che era diventata ragione di vita e apparentemente senza alcun desiderio di conoscenza. La vita per secoli era scorsa in mezzo ad una natura rigogliosa di un’isola che mantiene anche oggi intatto un fascino senza tempo. Ma l’isolamento appunto e la convinzione errata che fosse il ‘mana’ (il potere) del capo/personaggio defunto la loro garanzia di sopravvivenza – e vedremo che cosa questo significasse - piuttosto che lo studio dei fenomeni naturali, li hanno portati alla rovina. Quando fu tagliato l’ultimo albero a Rapa Nui nessuno capì che non ne sarebbero ricresciuti più. Che le risorse della terra fossero per loro natura finite era anche questa un’informazione a loro sconosciuta. Così scoppiarono le guerre tra villaggi per la conquista di quel poco che rimaneva e decretarono la fine di una civiltà fiorente, alla quale gli spagnoli dettero soltanto il colpo di grazia.

Dicevamo del ‘mana’, lo spirito dei defunti, che secondo i Rapa Nui avrebbe dovuto vigilare su di loro e per questo si inventarono le famose statue, splendide opere in pietra che ancora oggi sbalordiscono alla loro vista. I moai venivano posti sopra una piattaforma sacra e attraverso gli occhi della statua – questa è la tradizione - l’anima dei defunti riviveva e riversava la propria protezione sull’isola. Con gli anni la costruzione di queste teste era diventato motivo di vanti dei vari villaggi e cominciò la sfida a chi li costruiva sempre più grandi. La superstizione era inoltre quasi più forte della venerazione stessa, tanto che se la statua cadeva durante il percorso tra la ‘fabbrica’ e l’area dove doveva essere innalzata, veniva abbandonata perché ritenuto un segnale di malasorte. Per questo l’isola è costellata di statue riverse a terra.

Ma quando si arriva a Rapa Nui e si vedono i Moai crollati, si scopre inoltre che la causa non è soltanto questa, e neppure i terremoti o gli spagnoli: i primi a farle crollare furono gli stessi abitanti dell’isola quando la fede cieca nei confronti di queste loro creazioni finì. Finì perché gli avi ai quali loro chiedevano il ‘mana’ li avevano in qualche modo traditi. Perché sull’isola non era rimasto praticamente niente da mangiare tanto che si parla anche di episodi di cannibalismo. Il disastro ambientale provocato dall’uomo e dalla sua ignoranza aveva portato quindi al mangiarsi l’uno con l’altro dopo che l’ultimo albero fu abbattuto.

Una vera lezione – se ci fosse la volontà di prenderla come tale - per tutti che nasce principalmente, è il mio punto di vista, proprio dall’isolamento di cui parlavo all’inizio. La contaminazione, l’interazione sociale con altri, con quelli che possono apparire diversi, è quanto di meglio possa capitare ad un popolo per crescere culturalmente. A Rapa Nui, lontana migliaia di chilometri dalla terra ferma, questo problema fu principalmente fisico, ma nel mondo accade lo stesso tra paesi confinanti.

Ma quali strascichi ha lasciato questa tragica storia nei Rapa Nui moderni? Innanzitutto va detto che dal punto di vista economico tutto è legato al turismo. I Rapa Nui hanno deciso che l’aeroporto sia il miglior modo per far arrivare i visitatori sull’isola e alla richiesta di costruire un porto più grande per far attraccare le navi da crociera hanno fatto un referendum, che ha avuto come esito la bocciatura del progetto.

Sull’isola vivono allo stato brado cavalli e galline, ma siccome in pochi se ne occupano e non esistono praticamente stalle o pollai, i cavalli malnutriti hanno una vita piuttosto breve (e le carcasse abbandonate nei campi devono essere raccolte dal Comune), mentre nessuno si occupa di dove le galline depongano le uova e quindi – paradosso davvero singolare – le uova vengono importate dal continente. E pensare che ci sono pulcini ovunque.

La macchina è poi diventata un mezzo imprescindibile per gli abitanti che la usano non solo per girare nella parte ‘selvaggia’ dell’isola (dove non esistono strade asfaltate) ma anche per spostarsi nella cittadina (l’unica) che a piedi la si percorre tutta in 20-25 minuti (provato sul posto). Non solo, proprio per le tante macchine si creano persino ingorghi (piccoli ovviamente, ma pensate che nel punto più largo dell’isola è di 14 chilometri). Infine segnaliamo l’uso del cellulare che funziona solo in quelle quattro e affascinanti strade del centro e poco oltre, ma che è in gran voga tra i ragazzini che forse si mandano messaggini con gli amici che vivono e giocano a pochi metri da loro.

Questo è il mondo moderno, anche a Rapa Nui, ed è con questo che bisogna fare i conti, nel bene e nel male quando si parla di riorientamento dell’economia verso la sostenibilità.

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