[30/01/2008] Parchi

Il muro americano, gli immigrati clandestini e il giaguaro vagabondo

LIVORNO. Quando si pensa al giaguaro (Pantera Onca) si pensa alle impenetrabili foreste dell’America centro-meridionale, ma il più grande felino del nuovo continente fino a buona parte del XX secolo si aggirava molto più a nord, anche in quelli che oggi sono gli Stati meridionali degli Usa, dal Texas alla California, almeno fino a quando una vera e propria persecuzione contro i predatori non li trasformò in una specie altamente minacciata.

L’areale del giaguaro si è ridotto davanti al progredire dell’uomo bianco, il carnivoro è stato espulso dagli Stati Uniti come indesiderato, eppure un ultimo avamposto è rimasto al confine tra Messico e Stati Uniti ed i grandi gatti macchiati sono tra i pochi a potersi spostare liberamente, senza esibire visti e carte verdi, da sud a nord e ritorno. Migranti più elusivi della sterminata massa di latinos che ogni giorno cerca l’America, quella ricca, al di là di reti, barriere e filo spinato.

Ma ora gli Usa stanno per costruire lungo il confine un più solido muro (o meglio, una serie di muri) per tener fuori i poveri dalla terra promessa e gli ambientalisti statunitensi e messicani pensano che quella colossale opera impastata di paura, isolazionismo e insicurezza avrà non solo un costo umano, ma anche un grande impatto sul fragile ecosistema dell’area che non conosce le frontiere tracciate dall’uomo. A pagarne per primi il prezzo saranno proprio gli ormai rari giaguari statunitensi che fanno parte della più grande popolazione di questi felini che vivono nel Messico settentrionale.

Il muro frenerà i vagabondaggi dei giaguari, o dei “tigre”, come li chiamano i sudamericani, diminuendo la diversità genetica degli esemplari che resteranno intrappolati ai due lati del confine murato, una perdita di varietà e di scambi che aumenterà la vulnerabilità e le malattie di questi felini, e i cambiamenti ambientali già in corso nella zona completeranno l’opera. A pagare il prezzo più immediatamente salato sarà la piccola popolazione che rimarrà negli Usa, oltre i muri. I giaguari hanno infatti bisogno di grandi spazi e di un habitat non frammentato, di corridoi “liberi” nei quali potersi spostare.

Eppure le leggi ambientali Usa sulle specie minacciate prevedono che il Fish and Wildlife Service sviluppi un piano per il recupero dei giaguari, una buona intenzione alla quale si è rinunciato senza rimorsi, tanto che il 17 gennaio le autorità nordamericane hanno detto che non ne vale la pena, visto che ormai la porzione Usa dell’areale del giaguaro è solo una piccola parte di quella del resto del continente.

Insomma, una specie di foglio di via per il giaguaro, ma anche un pessimo precedente perché ora, dopo la decisione della più grande potenza del pianeta, anche nazioni più piccole si sentiranno autorizzate a scacciare (e cacciare) “el tigre” da habitat del giaguaro considerati “piccoli” o “marginali” e questo può succedere anche per altri animali “scomodi”. Una specie di autorevole via libera a non proteggere ovunque le specie minacciate di estinzione. La smania di Bush di respingere i latinos alla frontiera con un enorme muro “di Berlino” di 3.141 chilometri che dividerà il nord dal sud del mondo, attraversando e tagliando in due deserto, boschi, montagne, pianure valli fluviali, paludi, città e paesi, dividendo uomini, biodiversità e animali rari e minacciati. Una barriera enorme alla quale si accompagneranno strade di comunicazione e controllo che devasteranno ulteriormente gli habitat della frontiera meridionale degli Usa, tanto che il timido governo conservatore messicano sta pensando di ricorrere alla Corte di giustizia internazionale contro il potente vicino, a causa dell’impatto del muro sull’ambiente e perché il muro violerebbe i trattati internazionali e quelli commerciali tra i due Paesi, che però per gli Usa sembrano essere applicabili solo a senso unico, sia per gli esseri umani che per i giaguari.


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