[28/03/2006] Parchi
ROMA. Greenpeace ha colto in flagrante quattro pescherecci pirata italiani che pescavano nella zona economica esclusiva della Guinea Conakry, uno dei Paesi più poveri del mondo. Greenpeace ha imbarcato a bordo della nave «Esperanza» alcuni ispettori del governo
della Guinea che hanno ritirato licenze e proprietà delle imbarcazioni italiane, perché non compaiono nella lista ufficiale delle licenze emesse dal paese africano. «La pesca pirata è considerata una minaccia mondiale per il mare e per chi vive delle sue risorse, ma i governi
non stanno facendo niente per fermarla» ha dichiarato Alessandro Giannì, responsabile della campagna mare di Greenpeace. «Riguardo alla situazione delle imbarcazioni italiane – ha proseguito – se risultasse che la loro posizione è irregolare chiederemo al Governo e alla Commissione europea di prendere adeguati provvedimenti».
«La nave di Greenpeace “Esperanza”, sta pattugliando l’Oceano Atlantico in cerca di pescatori pirati – si legge in una nota degli ambientalisti – ed ha già trovato 67 barche straniere da Italia, Corea, Cina, Liberia e Belize. Di questi pescherecci, 19 (il 28%) non sono autorizzati a pescare e 22 (32%) sono già noti per essere stati segnalati in passato come pirati. Altre 9 imbarcazioni (14%) non sono state identificate perché, illegalmente, hanno mascherato nome e numero di matricola. Infine, otto pescherecci pirata pescavano addirittura entro le acque territoriali della Guinea Conakry, a meno di 12 miglia (circa 21,5 km) di distanza dalla costa» che sarebbero riservate alla pesca artigianale per il sostentamento diretto delle comunità locali.
La Guinea Conakry è l’unico Paese al mondo in cui il consumo di pesce sta diminuendo. I pescatori locali stanno perdendo una risorsa alimentare fondamentale e rischiano la vita per competere con dei superpescherecci d´altura che saccheggiano il loro mare. «Parlare di aiuti all’Africa e ai Paesi in Via di Sviluppo e permettere che il loro cibo sia rubato dai pescatori pirata è pura ipocrisia» ha aggiunto Giannì. «Solo nell´Africa sub sahariana – conclude – la pesca pirata fa un bottino di quasi un miliardo di euro l’anno. I governi devono chiudere i porti ai pirati ed impedire che la refurtiva, tra 4 e 9 miliardi di euro l’anno, entri nei loro mercati, assicurandosi che i pirati siano legalmente perseguiti insieme alle compagnie che li finanziano».