[04/02/2008] Energia

Le Marche e la microgenerazione diffusa, nonostante l´assessore

LIVORNO. L’approccio alla produzione energetica centralizzata, legato cioè allo schema del grande impianto da cui distribuire poi l’energia prodotta (anche attraverso chilometri e chilometri di elettrodotti) è ancora quello dominante e spesso utilizzato, che non si sposa bene però alla produzione energetica da fonti rinnovabili.
L’utilizzo di fonti quali il sole e il vento - seppur permetta anche di produrre all’interno di parchi dedicati discrete quantità di energia elettrica - è invece molto più legato ad una maniera diffusa di produzione, sino all’autoproduzione, per destinare poi solo l’eccedenza alla distribuzione in rete.

«Con la generazione distribuita - scrive Federico Butera in “Dalla caverna alla casa ecologica” - le unità che producono energia sono piccole, modulari, con taglie che vanno dai pochi Kw a qualche Mw. Comprendono una gamma di tecnologie, sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta, che si possono localizzare nello stesso luogo in cui si usa l’energia o nelle vicinanze. Questo permette un maggior controllo locale e un uso più efficiente del calore di scarto, con maggior rendimento del sistema e minori emissioni».
Un approccio questo ancora molto poco diffuso (purtroppo) nel nostro paese, forse anche per il fatto che la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili è da noi ancora marginale e che quindi non si è potuto sperimentare cosa significhi nei fatti la generazione distribuita, sia in termini di costi che di benefici.

Sarà questo allora che ha indotto l’assessore all’industria e all’energia della regione Marche, Gianni Giaccaglia, la settimana scorsa a bocciare categoricamente il piano energetico della sua regione, che proprio su quell’approccio si basa?
Ne abbiamo parlato con Luigi Quarchioni, presidente di Legambiente Marche, associazione che quel piano ha contribuito a scrivere.

L’assessore Gianni Giaccaglia dice che il piano energetico regionale delle Marche, approvato nel 2005, e che si affida in gran parte alla generazione diffusa è da ridiscutere, perché proprio questa parte non decolla. E’ davvero questa la situazione?
«Il piano si fonda su tre pilastri: grossi investimenti sul risparmio, sulle rinnovabili - individuando anche alcune aree in cui realizzare parchi eolici o fotovoltaici o a biomasse - e poi sulla microgenerazione. La microgenerazione è un asse portante perché la nostra è una regione caratterizzata da un tessuto produttivo fatto da distretti artigianali, che hanno bisogno di elettricità e di acqua calda, quindi il modello migliore per questo approccio. C’è anche una lettura economica importante sull’approccio alla microgenerazione, perché si tenta di dare l’opportunità di variare la produzione attuale, facendo energia».

Ma l’assessore dice che non ha funzionato.
«E’ vero che il piano non ha ancora prodotto i risultati attesi ma la prima domanda da porsi è cosa abbia fatto proprio lui, che è l’assessore all’energia, per avviarlo. Lui per primo deve dimostrare quali sono le azioni che ha messo in pratica per fare in modo che questa parte del piano funzionasse. Ad oggi non c’è stata azione e quindi non può dire che economicamente non conviene. Mi sembra di poter dire che sia lui che non ha fatto il suo lavoro e che dovrebbe ripensare al suo incarico. Il piano si può rivedere per migliorarlo, ma non si può mettere in discussione l’impianto su cui si basa».

L’assessore Giaccaglia afferma anche che sino ad ora non si è prodotto nemmeno un kilowatt con la microgenerazione, le risulta?
«Se parliamo di kwatt prodotti, ancora non ce ne sono. Ma esistono invece molti progetti avviati per la realizzazione di impianti che rispondono al criterio della microgenerazione. Ci sono poi molte imprese che lavorano bene su efficienza e risparmio e che sono riuscite ad avviare economia e ricerca. C’è poi una alleanza molto diffusa e molto ampia in regione sull’approccio del piano, che attraversa il mondo degli artigiani, dell’agricoltura, delle imprese».

Anche nelle Marche è stato avviato l’accordo tra Legambiente e circuito delle casse del credito cooperativo per incentivare progetti di produzione energetica da fonti rinnovabili con finanziamenti agevolati. Qual è stata la risposta delle aziende?
«Molto buona e non solo sul nostro accordo. Il 15 di questo mese presenteremo i dati di gestione del primo anno di rapporto con loro. Sono 39 i progetti avviati che corrispondono a milioni di euro solo per questa esperienza. E altre banche hanno attivato pacchetti specifici. Questo dimostra che oramai quella strada è l’unica percorribile nella nostra regione».

La presenza di un polo che oltre ad essere petrolifero è divenuto anche energetico quali l’Api di Falconara, può influire negativamente sull’avvio della microgenerazione o offre quel margine di sicurezza che in altre parti del paese è garantito con il metano?
«Influisce negativamente, soprattutto se venisse realizzato il nuovo impianto che prevede più del raddoppio della produzione attuale di 290 Mw. Si vorrebbe infatti affiancare all’impianto già esistente un altro da 600 Mw di energia da immettere in rete e una centrale da 60 Mw per i consumi interni. C’è poi l’altra centrale di San Severino e se fossero realizzate tutte, vuol dire che raggiungeremmo l’autosufficienza con la produzione centralizzata, che andrebbe a narcotizzare il processo avviato verso la generazione distribuita fatta con le rinnovabili, mettendo quindi fortemente a rischio questo processo sano. Che oltretutto garantisce due punti fondamentali: quello ambientale perché affidandosi solo alle fonti fossili, le Marche sarebbero fuori dal protocollo di Kyoto. Considerando poi che si prevede un impegno consistente da parte delle regioni per la riduzione delle emissioni, vi sarebbero ripercussioni negative anche sul piano economico, oltre che ambientale. Il secondo punto è squisitamente di natura economica: il Pear può avviare nuove economie sia di impresa che di ricerca in un modo che non ha eguali, soprattutto in un momento in cui l’economia nostra non riesce a riprendere quota. Permettere che le imprese in maniera diffusa possano investire in energie rinnovabili, anziché lasciare i profitti nelle mani di poche famiglie imprenditoriali è una maniera sana di fare economia. C’è poi anche il fatto che affidandosi alle grandi centrali si ottiene l’effetto di legare sempre più le imprese, le famiglie le istituzioni alle fonti fossili, con i problemi che sappiamo. Questa è la scelta più irresponsabile».

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