[07/02/2008] Comunicati

Nuovo record per l’oppio afghano, disastro ambientale e sociale

LIVORNO. Tra i motivi dimenticati dell’intervento occidentale in Afghanistan, oltre a quello di liberare le donne da un’oppressione rimasta immutata, c’era anche quello di spazzare via la coltivazione e il traffico dell’oppio, peraltro in mano ai nostri alleati, visto che nelle zone controllate dai Talebani era praticamente scomparsa. Leggendo l’Afghanistan Opium Winter Assessment, il nuovo rapporto dell’UN Office on Drugs and Crime (Unodc), si può parlare di un clamoroso fallimento: nonostante che i più forti eserciti del mondo scorrazzino tra le montagne e le valli del Paese e che aerei sorvolino e bombardino quotidianamente l’Afghanistan, il raccolto di oppio nel 2008 raggiungerà il livello record del 2007, con circa 192 mila ettari destinati a coltivare droga per i mercati occidentali. Ma l’occupazione militare non ha impedito nemmeno che l’Afghanistan diventasse anche il Paese che produce e smercia più cannabis al mondo.

«Il livello raggiunto nel 2008 sarà ancora estremamente elevato – spiega il direttore dell’Unodc, Antonio Maria Costa – . La droga di provenienza afghana e i fondi che genera costituiscono una forza di destabilizzazione. L´Europa, la Russia e i Paesi che si trovano sul cammino dell’eroina devono prepararsi a conseguenze maggiori sulla sicurezza e sulla sanità». I Talebani avevano eradicato le coltivazioni di oppio perché anti-islamiche, ma ora lo hanno trasformato in un’arma contro il corrotto occidente infedele e in una fonte di entrate economiche massicce per sostenere la guerriglia contro la Nato e il governo di Karzai. Secondo Costa, «i Talebani tassano I coltivatori del 10% circa sui loro guadagni, questo apporta loro circa 1000 milioni di dollari all’anno, e possiedono laboratori per la fabbricazione di eroina e si occupano dell’esportazione».

Costa però sorvola sul fatto che la coltivazione e il commercio dell’oppio sono praticati anche da alcuni signori della guerra afghani alleati dell’Occidente, che controllano vasti territori etnici e tribali e che magari siedono anche nel Parlamento afghano. Il Direttore dell’Onodc spiega che «la produzione del 2007 ha superato la domanda mondiale di 3.000 tonnellate, il che significa che ci sono stock importanti che non si trovano più presso i coltivatori». Invece, secondo il rapporto, la cannabis prende la strada del Pakistan e dell’Iran e poi dei Paesi del Golfo Persico.

Ormai solo 12 province afghane non sono invase dalle coltivazioni di oppio e l’Onu spera ancora di farle diventare 34. La ricaduta ambientale e sociale interna è devastante, con l’abbandono dell’agricoltura tradizionale, una maggiore cura richiesta nella conduzione dei terreni, un guadagno che se ne va tutto in cibo importato sempre più spesso dall’estero, con l’impossibilità di ridurre gli aiuti alimentari.

«Per lottare contro il nemico pubblico numero uno dell’Afghanistan – conclude Costa – mancano ancora dei ministri degli interni e della lotta contro il narcotraffico onesti e che funzionano, un’autorità per la lotta contro la corruzione credibile, un sistema giudiziario efficace e dei governanti onesti in tutto il Paese». Così l’Onu, attraverso le scioccanti cifre dell’oppio traccia il bilancio di un Paese che dopo anni di intervento militare occidentale ha ancora da essere costruito nelle sue fondamenta democratiche, un paese dove le ingiustizie rimangono immutate, dove il governo “democratico” è asserragliato a Kabul, mentre i Talebani avanzano piantando papaveri da oppio.


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