[14/02/2008] Consumo

Farmaci, propensione al consumo e orientamento della ricerca

GINEVRA. Il mercato dei farmaci é molto diverso da quello di gran parte degli altri prodotti. Si tratta di un mercato complesso e regolamentato, dove l’intervento pubblico esplica ancora, giustamente, un ruolo rilevante. Da questa premessa discende anche la difficoltà per i media a dare un’informazione accurata e completa su questo mercato. L’interessante articolo pubblicato da greenreport il 5 febbraio tocca molti argomenti, forse troppi in uno spazio così limitato (la spesa farmaceutica, i rifiuti farmaceutici e il loro smaltimento, l’abuso dei farmaci, gli effetti collaterali e la presunta “dannosità” dei medicamenti ecc.): io cercherò di integrarne i contenuti con un paio di dati in più in tema di spesa farmaceutica e prezzo dei farmaci.

L’articolo si compiace della diminuzione della spesa farmaceutica (-6,5% rispetto al 2006), causata dai tagli dei prezzi dei farmaci del luglio-ottobre 2006 e dal crescente ricorso ai farmaci generici in sostituzione dei più costosi originali. Ma, allo stesso tempo, si preoccupa che gli italiani stanno diventando grandi consumatori di farmaci (secondo Federfarma, + 3,3% rispetto al 2006 nel numero di confezioni di farmaci erogati dal servizio sanitario nazionale): ora, é probabile che gli stessi eventi all’origine della diminuzione della spesa cui si plaude (taglio dei prezzi e aumentato ricorso ai generici) siano anche la ragione principale dell’aumento dei consumi, che si depreca. Insomma, temo non sia possibile volere farmaci sempre meno cari e volere anche che siano sempre meno usati. Il raffronto con gli altri paesi europei lo conferma: in Italia si vendono più confezioni pro-capite (100 contro 93), ma la spesa pro-capite italiana é inferiore di circa il 20%: all’estero si usano meno farmaci anche perché costano di più. Il problema, poi, é molto più ampio e riguarda anche i nostri stili di vita e la nostra propensione al consumo.

Ricordo poi che la spesa farmaceutica é solo una componente della spesa sanitaria (secondo il Ministero Salute, nel 2005 fu di 11,9 milioni a fronte di una spesa sanitaria totale di 95,2) e che una spesa farmaceutica ben indirizzata, insieme con un’opera di formazione degli operatori sanitari e di educazione dei pazienti, potrebbe essere utile a contenere la spesa sanitaria globale (penso per esempio alla spesa per ricoveri ospedalieri). Infine, uno studio Cergas-Bocconi dell’ottobre 2007 ci dice che per i farmaci con obbligo di prescrizione (il 90% della spesa farmaceutica) introdotti dal 1990 (quindi quelli più innovativi) i prezzi a ricavo industria in Italia sono sistematicamente inferiori a quelli di tutti gli altri Paesi considerati (USA, Germania, Inghilterra, Olanda, Francia, Spagna, Grecia), a parità di potere d’acquisto, e lo stesso vale per i prezzi al pubblico ad eccezione dell’Olanda. Considerando anche i prodotti pre-1990, più vecchi, i prezzi italiani si situano più o meno a centro classifica.

Cosa dedurne? Che forse occorrerebbe prevedere prezzi in linea con quelli europei (quindi più alti) per i prodotti innovativi e insieme consentire che la competizione sul mercato dei generici produca quei risparmi per il SSN da reinvestire nel finanziamento mirato dell’innovazione e della ricerca, nonché in quella formazione e educazione di cui parlavo sopra. Non é dunque tanto un problema di quantità della spesa farmaceutica, ma soprattutto di qualità e indirizzamento della stessa.


*dirigente della Helsinn, una multinazionale farmaceutica

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