[20/02/2008] Aria

Mobilità sostenibile: si chiama "NoAuto", ma ha una marcia in più!

LIVORNO. Si chiama “NoAuto” ed è una nuova associazione presentata ieri a Roma che ha come obiettivo una mobilità più sostenibile. Con, dal nostro punto di vista, una marcia in più rispetto alle altre pur encomiabili iniziative portate avanti su questo tema. E sul piano della proposta, ovvero «la predisposizione di un bilancio sociale ed ambientale della mobilità, che valuti i danni generati dal sistema e che dovrebbe essere reso obbligatorio per ogni amministrazione pubblica con competenze in materia di mobilità».

«Vogliamo cercare di diffondere la consapevolezza che non si migliora il sistema della mobilità urbana se non si esce dalla centralità dell’auto – si legge nella lettera appello dell’associazione - . Siamo convinti che occorra un lavoro impegnativo e di lunga lena, capace anche di affrontare le asprezze del conflitto con alcuni grandi poteri del nostro Paese e di ribaltare valori e modelli di consumo diffusi. Un lavoro necessario per rendere possibile la transizione verso un sistema di mobilità urbana radicalmente alternativo a quello esistente. Abbiamo le nostre convinzioni, ma certo non pensiamo di avere la verità in tasca. Vorremo però che della questione almeno si discutesse; e non in alcuni ristretti circoli di tecnici o di appassionati della bicicletta e del tram, ma negli organi di comunicazione di massa, nei grandi giornali, nelle radio e nelle tv».

«Ogni giorno – spiega a greenreport Bruno Ceccarelli, uno dei promotori di ‘NoAuto’ – gli italiani andando in macchina consumano enormi quantità di carburanti: questa è economia bruciata, perché non produce niente e viene, di fatto, gettata nel cestino. Il problema è che intorno all’automobile girano grandi interessi: da quello dei produttori di veicoli a quelli di chi costruisce le strade e distribuisce i carburanti. Sono interessi imponenti capaci di condizionare le politiche dei trasporti a livello nazionale e locale e di influire – innanzitutto attraverso la pubblicità – sulle preferenze e sui comportamenti di massa. Quindi noi proponiamo che le amministrazioni comunali o meglio provinciali almeno delle città italiane più grandi abbiano una contabilizzazione bimestrale di quanto siano i costi dell’attuale mobilità. In modo da fare un bilancio con i costi anche di cosa questo significhi in termini di sanità tra incidenti e malattie respiratorie».

Le domande che si pone e pone a tutti l’associazione è: «Possono le nostre città sopravvivere continuando a scommettere tutto sull’automobile? Quali politiche pubbliche – europee, nazionali e locali – quali capacità industriali e quali comportamenti individuali possono rendere possibile quello che oggi appare solo un’utopia: la città libera dal dominio dell’auto? Quale lavoro politico e culturale e quali strumenti istituzionali possono consentire ai cittadini di riprendere la parola e di decidere senza condizionamenti dell’assetto della città e del suo sistema di mobilità?».

«Ecco – spiega ‘NoAuto’ - , ci piacerebbe leggere articoli intorno a questi quesiti, vedere servizi in tv, sentire qualche politico che – tra la crisi di governo, la legge elettorale e la monnezza – si occupi anche di questo. E sogniamo anche che se ne parli tra la gente; che ciascuno di noi si renda conto che se non si arriva alla fine del mese è anche colpa della “tassa” che ogni mese paghiamo all’automobile. Che ciascuno di noi si renda conto che meno auto vuole dire più salute, più tempo e più spazio per noi e per i nostri cari».

«Anche a livello europeo – aggiunge Ceccarelli – le cose non funzionano. Si lavora ancora sulle grandi infrastrutture, quando invece quei soldi che ci sono andrebbero investiti per realizzare condizioni di mobilità più sostenibile nelle grandi aree metropolitane, come ad esempio incentivare la mobilità collettiva. Nel resto del mondo la questione della mobilità è al centro delle politiche urbane e viene affrontata con strumenti anche di forte impatto: si va dalla perfetta integrazione del trasporto pubblico degli svizzeri e degli olandesi ai “metrò su gomma” del Sud America, dalla congestion charge del “rosso” sindaco di Londra alle biciclette a noleggio di Parigi. In Italia invece la questione stenta a ottenere l’attenzione che merita. A livello locale non si riesce ad andare oltre azioni episodiche ed inefficaci, come le targhe alterne e le domeniche a piedi. A livello nazionale, l’erogazione di somme per comprare autobus o per favorire i taxi collettivi non basta certo a identificare un’azione politica degna di questo nome. Faccio un esempio: a Roma così com’è ora ha una congestione del traffico come se fosse una città di 9 milioni di abitanti e invece ne ha 3. Questo perché è disorganizzata. Non si può amministratore con la paura del domani elettorale».

«E’ necessario - prosegue - un lavoro politico più ampio: che rifletta sulle ragioni e sugli effetti della mobilità centrata sull’auto; che contrasti gli interessi legati all’auto, mettendo in rete le esperienze alternative e puntando a creare la massa critica necessaria per un cambiamento profondo del sistema della mobilità urbana; che alimenti una nuova cultura della pianificazione urbanistica e del trasporto collettivo capace di migliorare la qualità delle nostre città; che restituisca alle singole persone gli strumenti culturali per partecipare attivamente alla costruzione di una nuova mobilità urbana».


Torna all'archivio