[21/02/2008] Comunicati

Duccio Bianchi: «La deriva plebiscitaria non si addice alla gestione dell’ambiente»

LIVORNO. Sul sito del Partito Democratico sono stati attivati quasi 60 forum tematici aperti a tutti i cittadini (non solo quindi agli aderenti al partito) che vorranno esprimere una loro opinione o offrire un contributo agli argomenti che aprono ognuna delle piazze di discussione telematica.
Tra i forum attivi, che vanno in ordine alfabetico dalle Aree protette al Wto toccando argomenti quali la famiglia, la riforma delle istituzioni e della politica, la dimensione internazionale del lavoro, i new media e la finanza pubblica, l’immigrazione, molti riguardano tematiche ambientali come quello sui cambiamenti climatici e lo sviluppo sostenibile. A presiedere il forum sullo sviluppo sostenibile è Duccio Bianchi, direttore di Ambiente Italia che apre la discussione su due argomenti: la fiscalità ambientale (su cui è intervenuto ieri su greenreport con un articolo specifico) e l´economia di qualità e il concetto di sviluppo, ovvero «come far crescere l´economia di qualità in Italia e, magari senza fare troppa accademia, come ridefinire e misurare anche il concetto di crescita, sviluppo, prodotto interno lordo».

Cosa significa ridefinire in maniera non accademica questi criteri?
«Significa fare una riflessione più larga sulla nozione di sviluppo sostenibile che ci rimanda a una idea “multi-dimensionale” dello sviluppo: economico, sociale, ambientale, istituzionale. E ci rimanda anche a una nozione meno angusta di crescita e di benessere, non riducibile alla misura del Pil. Nel “paniere” del benessere oggi stanno, affiancati e mescolati ai bisogni tradizionali legati al reddito, anche molti altri ingredienti e dimensioni, fattori immateriali - l’ambiente, l’etica, l’estetica, la salute, la sicurezza, la realizzazione personale – sempre più importanti nella percezione individuale. E dentro questa nuova nozione di benessere c’è anche la consapevolezza che vi siano beni comuni – beni naturali come l’acqua o la biodiversità, ma anche beni immateriali come il diritto di tutti di accedere alle conoscenze - che non possono venire trattati (solo) come cose da comprare e da vendere».

E anche vero che quando si parla di beni comuni e di politiche ambientali il dibattito che si innesca e che evidenzia diverse percezioni presenti nella società porta difficilmente a sintesi e a decisioni.
«Questo problema vorrei che divenisse il prossimo argomento di discussione del forum. Ovvero le politiche ambientali possono andare avanti a furia di referendum? Siamo ormai invasi da referendum locali che vanno dall’eolico ai rigassificatori, dalle tramvie alle raccolte differenziate agli inceneritori: ovvero su argomenti che possono determinare anche impatti rilevanti a quelle che sono considerate le alternative come le raccolte differenziate o gli impianti eolici. C’è un pullulare di iniziative che rimandano alla decisone popolare anche su temi in cui invece la tecnicità che sta dietro a determinate questioni mal si coniuga con un quesito referendario. C’è da domandarsi allora quanto sia un esercizio di democrazia chiedere a persone di scegliere su argomenti di forte contenuto tecnico e quale sia invece la strada da intraprendere per ottenere un risultato che tenga in conto le varie istanze che stanno dietro ad un determinato intervento ma che porti comunque ad una decisione».

Tra l’altro quasi mai i referendum raggiungono il quorum e quindi rimandano le decisioni ad altre sedi.
«Anche questo dovrebbe far riflettere. Un basso afflusso a un referendum può essere conseguenza di una campagna per l’astensione ma secondo me perchè spesso è uno strumento improprio rispetto alle materie su cui si chiede di esprimersi. C’è poi da tenere in considerazione il fatto dell’iniquità che si può presentare rispetto ad alcuni temi ricorrendo al referendum.»

Si spieghi meglio.
«Ad esempio in una consultazione comunale, c’è chi partecipa al voto e ne trae un beneficio senza trarne alcun rischio e chi invece potenzialmente si espone al rischio senza trarne alcun beneficio. Se il tema fosse ad esempio quello del diritto alla salute, in un referendum vota anche chi non ne ha alcuna conseguenza e potenzialmente decide anche per chi invece ne potrebbe avere. Sono argomenti che necessitano non di una consultazione popolare, ma di una assunzione di responsabilità e di decisione da parte della politica e di processi negoziali, di discussione con le popolazioni interessate».

Ma è anche vero che la discussione è sempre più atomizzata e che alla fine nessuno decide.
«Io credo che non si possa agire dando potere di veto a minoranze che esprimono una loro legittima esigenza o diritto di maggioranza a chi non ha effetti negativi rispetto ad un intervento che si pensa di fare su un territorio. E la deriva plebiscitaria non si addice alla gestione dell’ambiente. Io credo che la strada sia quella della negoziazione con le popolazioni interessate e il riconoscimento di compensazioni adeguate, associata naturalmente ad una decisione da parte della politica, che poi ne risponderà attraverso i processi democratici del voto.
Ma non vi è dubbio che vi sia la necessità di avere una classe dirigente capace di decidere. I danni che derivano dalle irresponsabilità e dalla non decisione sono purtroppo evidenti. E non solo a Napoli».

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