[25/02/2008] Monitor di Enrico Falqui

La città infinita

FIRENZE. Nel corso del decennio 1990-2000, in Europa, la crescita delle aree urbane e delle infrastrutture ad esse collegate ha consumato più di 8000 km quadrati (un incremento del 5,4% del consumo di suolo in dieci anni) corrispondenti alla copertura di un territorio pari all’ampiezza dello Stato del Lussemburgo.

Molti studiosi dei fenomeni socio-economici e culturali che mutano l’identità dei luoghi nelle principali aree urbane europee, confermano che l’urban sprawl (ed il conseguente consumo di suolo rurale libero) rappresenta un indicatore attendibile della velocità di trasformazione della città metropolitana per adattarsi alla miscela di forze “micro e macro”-economiche che governano. Il mercato globale e che suscitano, in ogni città, cambiamenti sociali e culturali, nonché stili di vita e comportamenti collettivi, in un nuovo “disegno” della città metropolitana, dove i luoghi dell’abitare e del produrre sono sempre più separati e differenziati.

La principale conseguenza di questa nuova forma della crescita urbana in Europa, è stata la progressiva riduzione della “compattezza” della città che fino ad oggi caratterizzava la principale distinzione tra il modello di città americana e quello europeo.

I quartieri chiusi ad alta densità della città compatta europea sono stati progressivamente sostituiti o sovrapposti a blocchi isolati di condomini-appartamenti e da aggregati edilizi isolati dal contesto di quartiere, accentuando il carattere “diffusivo” dell’insediamento edilizio a spese delle relazioni urbane e della vivibilità di tali aree edificate. La riduzione della “densità urbana” avvenuta con particolare intensità nell’ultimo decennio, è confermata anche dal fatto che le aree edificate hanno subito un incremento del 20% a fronte di una crescita della popolazione di solo il 6%.

Ad esempio, nell’Italia del Nord-est (dove è avvenuta la più diffusa “deregulation” produttiva come conseguenza dei mutamenti di concorrenza internazionale nel mercato globale), città di piccola e media dimensione hanno sperimentato, nel corso dell’ultimo decennio, una notevole crescita dell’urban-sprawl. Ne sono un esempio città come Udine e Pordenone, la cui crescita urbana si è diffusa nel territorio rurale con una velocità ed un’estensione che le collocano ai primi posti della classifica delle città medie europee che maggiormente hanno subito l’effetto dell’urban sprawl.
Nello stesso periodo, 1990-2000, l’urbanizzazione delle aree costiere ha avuto un incremento di circa il 30%, creando in molte zone del Paese una vera e propria frattura tra la conurbazione lineare costiera e le aree rurali e pede-collinari delle zone interne.

Secondo la recente valutazione del “ Millennium Ecosystem Assessment (M.A),
gli ecosistemi europei hanno subito una maggiore frammentazione di origine antropica rispetto a quella di tutti gli altri continenti. Ad esempio, solo l’1-3% delle foreste in Europa, può essere definito “indisturbato dalla presenza umana”, così come, negli ultimi 30anni, l’Europa ha perduto oltre la metà dei terreni agricoli e delle zone umide a più alto valore naturalistico.
Ancora più grave è la perdita della biodiversità per quanto riguarda le specie animali terrestri e avicole, le specie ittiche di acqua dolce e di mare al di sotto della soglia biologica e, infine, circa 800 specie vegetazionali europee sono a rischio di estinzione.

Questi fatti erano già noti, ma solo recentemente si è scoperto che le previsioni di ulteriore incremento del riscaldamento terrestre e dei conseguenti mutamenti climatici a scala globale possono avere conseguenze ancora più devastanti sulla biodiversità e che questi processi possono avere una velocità tale nel tempo, da rendere pressoché inutili tutte le strategie di adattamento di cui hanno parlato i climatologi, dopo la Conferenza di Bali.
Una di queste conseguenze collaterali dei mutamenti climatici, secondo il professor Michael Schlesinger, consulente di Al Gore nella sua campagna mondiale di sensibilizzazione sugli effetti dei cambiamenti climatici e capo del prestigioso Dipartimento di Scienze dell’atmosfera presso l’Università dell’Illinois, USA, riguarda proprio le condizioni ambientali e la biodiversità presente nelle grandi aree urbane europee ed extra-europee.

Schlesinger, recentemente incontrato in un importante meeting internazionale a Venezia, parla del possibile «radicale mutamento delle escursioni termiche oggi esistenti tra città e ambiente rurale limitrofo, generando ‘isole termiche di calore’ diffuse nel territorio e oggi maggiormente accentuate dalla crescita e diffusione urbana nell’ambiente rurale e dall’invasivo sistema infrastrutturale necessario a trasferire quote di trasporto crescenti tra città e campagne limitrofe e viceversa».
In altre parole, il rischio concreto che Schlesinger segnala, oltre ai cambiamenti climatici a più ampia scala nei prossimi anni, consiste nel mutamento dei microclimi locali e regionali, la cui velocità di effetto sulla biodiversità presente nelle città e nell’ambiente rurale è accelerata dall’inarrestabile crescita dell’urban sprawl e dal fatto che il sistema dei trasporti nelle aree urbane e metropolitane, in Italia, ancora prevalentemente incentrato sul mezzo privato sia per le persone che per le merci, rischia, a causa del suo vertiginoso incremento nei prossimi anni e della sua diffusività nel territorio, di comportarsi come “… un’isola di calore urbano che stravolge il fattore limitante più importante della biodiversità ecologica e del paesaggio urbano e rurale, ovvero il micro clima locale”.

Se leggiamo l’ultimo rapporto della Task force sui trasporti della Commissione di Bruxelles (giugno, 2007), nel quale si prevede per il 2015 un incremento del 40% del volume dei trasporti nelle aree urbane e metropolitane delle principali città europee, si comprende bene che non sarà sufficiente una “politica di adattamento ai cambiamenti climatici” nel tempo medio-lungo, ma che è necessario un cambiamento radicale nel modo di pianificare e progettare lo sviluppo della città e le risposte alla domanda di mobilità nella città contemporanea.

E’ lo sviluppo sostenibile dei luoghi dove abitiamo e dei luoghi dove organizziamo la produzione ( industriale e alimentare) l’obiettivo di questa sfida nei confronti dei cambiamenti climatici già oggi in corso: questo ci dice Schlesinger e gli scienziati che hanno redatto il rapporto Stern.
E’ singolare che ci sia qualcuno (come Latouche) che sostenga che lo sviluppo sostenibile ha “ormai fallito”quando tutte le conseguenze che oggi registriamo negli equilibri ecologici del Pianeta sono proprio dovuti al fatto che “ esso non ha mai visto la luce per l’interesse a mantenere il Terzo Mondo come appendice estranea allo sviluppo dei Paesi ricchi, destinando l’Africa e parte dell’Asia del Sud a subire gli effetti più sconvolgenti della crisi climatica globale” (Bruntland,Sessione speciale ONU, 1986) e, come ci ha recentemente ricordato Jeremy Rifkin affermando che: “la decrescita o è intesa come sviluppo sostenibile, oppure rappresenta, qualora diventasse linea guida per i Governi del Mondo, la più straordinaria e cinica condanna verso quei Paesi (come quelli esistenti nel continente africano) che oltre al debito ingiusto accumulato nei confronti della Banca Mondiale e del FMI, sarebbero chiamati a pagare anche “ il debito accumulato nei confronti della Natura” da parte di 1/3 della popolazione mondiale che consuma e spreca i 2/3 delle risorse energetiche e delle materie prime”.


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