[26/02/2008] Parchi

Il futuro del mare preoccupa Banca mondiale, Benin, Cina e Unep

LIVORNO. Il futuro del mare preoccupa sempre di più e si muove anche la Banca mondiale che ha approvato un finanziamento di 4,3 milioni di dollari per un progetto di gestione comunitaria della biodiversità costiera e marina nel Benin un piccolo Stato dell’Africa occidentale.

Secondo Rémi Kini, responsabile per il progetto per la Banca mondiale, l’iniziativa «è in perfetto accordo con il programma operativo del Global environment facility (Gef) sulla diversità biologica, particolarmente quella degli ecosistemi costieri marini e contribuirà in maniera effettiva alla messa in opera della strategia e del Piano di azione nazionale per la conservazione della biodiversità. Il progetto poggia sul secondo pilastro del Document de Stratégie de Réduction de la Pauvreté du Bénin, relativo allo sviluppo del capitale umano e alla gestione ambientale. L’inclusione della Banca mondiale nelle operazioni di gestione ambientale in Benin, e nel programma di appoggio di bilancio al Ministero dell’ambiente e della protezione della natura gli conferisce un vantaggio comparativo per l’assistenza che apporterà al governo per la realizzazione degli obiettivi di questo progetto».

Il progetto, che è previsto per una durata di 5 anni, e che sarà curato dall’Agence Béninoise pour l’Environment, punta a promuovere la conservazione e l’utilizzo sostenibile della biodiversità costiera e delle risorse marine, preservando allo stesso tempo l’economia locale tradizionale e le possibilità di sviluppo economico delle comunità che vivono nelle aree interessate. Le attività si svilupperanno lungo 4 tematiche principali : rafforzamento della capacità istituzionali e tecniche per la gestione partecipativa della zona costiera ; gestione comunitaria della biodiversità; collegamento e valutazione delle zone costiere e della biodiversità costiera e marina ; gestione e coordinamento del progetto.

Intanto, dall’altra parte del pianeta, sul mare si muove anche un Paese ben più grande ed importante del Benin: la Cina che entro quest’anno dovrebbe realizzare una rete di controllo basata su quattro livelli amministrativi per sorvegliare e valutare i cambiamenti che si producono sulla superficie oceanica. Durante una conferenza stampa a Changsha, il capoluogo della provincia dell’Hunan, il direttore dell’Ufficio oceanico di Stato, Sun Zhihui, ha detto che «la rete a quattro poli (centrale, provinciale, distrettuale, locale) sarà creata sulla base dei sistemi di osservazioni e previsioni oceaniche esistenti. Una volta messa in atto la rete, l’Ufficio oceanico di Stato fornirà dati scientifici per i progetti di sviluppo condotti dallo Stato e dalle regioni costiere. La nostra priorità è quella di realizzare stazioni per le previsioni a livello delle prefetture e di sforzarci di allargare le osservazioni in mare».

Le preoccupazioni per mari e oceani sono cresciute con la lettura del rapporto “In Dead Water”, presentato recentemente dal Programma per l’ambiente dell’0nu (Unep), che traccia un quadro fosco della situazione di un pianeta che si chiama Terra ma che dovrebbe più propriamente chiamarsi “Oceano”, visto che l’acqua salata occupa i due terzi della sua superficie.
Secondo i dati dell’Unep, la metà della pesca mondiale avviene lungo la piattaforma continentale, che rappresenta meno del 7,5% della superficie delle acque del globo; alcuni degli scenari del global warming prevedono che, entro il 2080, tra l’80 e il 100% delle barriere coralline potrebbero essere minacciate di sbiancamento, in particolare sono a rischio i coralli del Pacifico occidentale, dell´Oceano Indiano, del Golfo Persico, del Medio Oriente e dei Caraibi; entro il 2050, oltre il 90% delle coste temperate e tropicali saranno particolarmente toccate dagli effetti del cambiamento climatico.

Più dell’80% dell’inquinamento marino è di origine terrestre. Le zone marine dell’Asia orientale e del sud-est asiatico sono particolarmente minacciate da un aumento dell’inquinamento. L’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera probabilmente si tradurrà in un innalzamento dell’acidificazione dell’ambiente marino che potrebbe ridurre le riserve di carbonato di calcio nell’acqua di mare, in particolare l’aragonite, una sostanza molto importante che è utilizzata da numerosi organismi per costruire le loro conchiglie. I coralli di acque fredde o profonde potrebbero soffrire per l’acidificazione entro il 2050, mentre gli organismi che vivono nei mari del sud-est Pacifico e nelle regioni subartiche entro il 2040.

Nel corso dei prossimi 100 anni, il cambiamento climatico potrebbe rallentare la circolazione termoalina degli oceani e di conseguenza i meccanismi di “ricarica e pulizia” della piattaforma continentale conosciuti come “dense shelf water cascading”´, determinando una peggiore qualità dell’acqua, del ciclo alimentare e della produzione di acqua profonda in almeno il 75% delle maggiori zone di pesca. Le “zone morte”, nelle quali l’acqua marina è praticamente priva di ossigeno, sono aumentate a causa dell’inquinamento proveniente dalle zone urbane ed agricole: l’Unep stima 200 "zone morte" temporanee o permanenti, contro le 150 presenti nel 2003.

Circa l’80% delle principali specie di pesci pescate sono sovrasfruttate fino al limite delle loro capacità riproduttive. Con le nuove tecnologie, lo sforzo di pesca mondiale è due volte e mezzo superiore a quello sostenibile, in particolare per le specie di profondità. Le specie esotiche invasive sono sempre più in concorrenza con quelle autoctone e tendono a sostituirle e spesso risultano più resistenti all’inquinamento marino ed alla sovrapesca, il rapporto “In Dead Water” dimostra che la concentrazione di specie aliene corrisponde precisamente alle principali rotte dei pescherecci.

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