[27/02/2008] Rifiuti

Imballaggi, igiene e orientamento del mercato

LIVORNO. Oltre 38 milioni di tonnellate immesse al consumo (anno 2000) quasi la metà del volume dei rifiuti prodotti: gli imballaggi sono uno dei problemi da affrontare nella gestione dei rifiuti, e uno dei segnali del nostro tempo, delle diverse abitudini, delle diverse culture. Oltre che un settore specializzato con dimensioni economiche, tecnologiche e occupazionali tutt’altro che trascurabili.

La diffusione degli imballaggi è cresciuta procedendo di pari passo con lo sviluppo economico: tutti i prodotti dell’industria manifatturiera destinati al consumo, necessitano di una confezione che assume di volta in volta funzioni diverse: racchiudere, proteggere, spostare, conservare, suddividere, distribuire, spedire, ma anche informare, promuovere un prodotto, invogliare all’acquisto, spingere al consumo. Se cresce la quantità (e anche la qualità) degli imballaggi sul mercato, possiamo ragionevolmente sostenere che anche i consumi crescono e quindi di conseguenza i rifiuti prodotti e i problemi ambientali ad essi sottesi.

Ma da una ricerca realizzata da Nielsen Global Food Packaging, emerge che un consumatore su due, nel mondo, direbbe addio al packaging studiato solo ed esclusivamente per questioni di comodità se questo potesse aiutare l´ambiente.
Quasi la metà degli intervistati (il 49%) inoltre farebbe tranquillamente a meno anche di quelle confezioni disegnate apposta per facilitare lo stoccaggio dei prodotti in casa, il 48% di quelle che possono essere utilizzate per cucinare o essere riutilizzate come contenitori richiudibile e il 47% degli imballaggi pensati per facilitare il trasporto.
Altra cosa se le rinunce riguardano la sicurezza sanitaria del prodotto, che calano al 27% delle disponibilità o la conservazione del prodotto in buone condizioni (30%) o la sua freschezza (34%) o se significa dover fare a meno delle istruzioni per la cottura (33%). C’è poi anche chi non vorrebbe rinunciare a nessuna delle funzioni accessorie dell’imballaggio per un maggior rispetto dell’ambiente che rappresenta il 10% del campione.

Ma è anche vero però che al di là dell’azione di orientamento che il consumatore può svolgere nei confronti di chi li produce, preferendo prodotti che hanno minori imballaggi e che più facilmente possono essere separati una volta divenuti rifiuti, ci sono da una parte delle imposizioni ben precise nella distribuzione delle merci, dall’altra delle consuetudini che derivano dall’evoluzione della società, che mettono in discussione la possibilità di cambiare i numeri che riguardano il packaging.

La sempre più diffusa esigenza di rispettare norme di igiene nel settore alimentare, ad esempio, impone (a volte in maniera quasi maniacale) l’utilizzo di una grande quantità di imballaggi. Con il fatto che per tutelare la nostra salute siamo, per assurdo, quasi costretti a mangiare e bere alimenti assolutamente asettici e poi a prendere integratori per stimolare le difese immunitarie o antibiotici per far fronte alla presenza di microbi ai quali il nostro organismo non è più abituato e dai quali non si sa più difendere in maniera adeguata. Senza contare le sostanze chimiche di cui gli imballaggi sono costituiti o trattati che in questa maniera ingurgitiamo.

C’è poi da considerare gli attuali stili di vita che ci vedono sempre più diffusamente consumare pasti fuori casa o frettolosamente mettere sui fornelli pietanze precotte, ovviamente contenute in scatole, sacchetti e vaschette che diventano poi rifiuti da gestire. O il fatto che la gran parte dei nuclei familiari sono ormai costituiti da single, giovani o anziani che siano, per cui le confezioni sono sempre più monodose. Ci sarebbe anche da citare il fatto che siamo il paese con il più alto consumo di acqua minerale, che viene categoricamente distribuita in bottiglie di plastica usa e getta, dato che il vuoto a rendere è ormai parte della storia passata.

Su “La nuova ecologia” di febbraio è stata costruita una road map per ridurre la quantità di rifiuti prodotta in una settimana di 2 chilogrammi, orientando le principali azioni sul packaging e sulle scelte alternative nella spesa settimanale. E considerando anche di associare queste azioni ad una attenta raccolta differenziata, la riduzione dei rifiuti prodotti potrebbe arrivare anche a tre chilogrammi in una settimana.

Insomma il consumatore può senza dubbio avere un ruolo importante e per questo Legambiente organizza sabato 1 marzo una nuova edizione di Disimballiamoci, la storica campagna dell’associazione che invita ad acquistare prodotti con minore quantità e migliore qualità degli imballaggi. Ma come sempre il cittadino per quanto attento può fare la sua, di parte. Ma per spostare le cifre (anche sul settore del packaging) spetta ad altri, ovvero ai legislatori adottare un approccio (nel settore industriale, ambientale, sanitario ecc.) in grado di orientare il mercato affinché gli imballaggi, in tutte le loro articolazioni, tornino ad avere un ruolo più consono a quella che è la loro funzione propria, liberandoli da tutte quelle che, alla fine, sono da considerarsi, invece, superflue.

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