[28/02/2008] Comunicati

Imprese e protezione ambientale: investimenti sì, ma sul fine ciclo

LIVORNO. Gli investimenti realizzati dalle imprese italiane nel periodo 1997-2006 sono «prevalentemente verso attrezzature e dispositivi cosiddetti di fine ciclo (o end-of-pipe), ossia atti a rimuovere l’inquinamento una volta che esso è stato generato, piuttosto che verso impianti e attrezzature atte a prevenire o a ridurre ab origine la produzione dell’inquinamento (tecnologie integrate)». Lo sostiene l’Istat nella prima serie storica dei dati sulle “Spese delle imprese italiane per la protezione dell’ambiente” appena pubblicata dall’Istituto di ricerca nazionale. Aggiungendo che «ad esclusione del 2002, anno in cui il totale degli investimenti appare quasi equamente ripartito tra le due tipologie (53% per investimenti di fine cicli e 47% per investimenti in ‘tecnologie integrate’), nell’arco temporale di riferimento (1997-2006, ndr) si osservano mediamente quote pari al 72% per gli investimenti destinati ad attrezzature end-of-pipe e al 28% per gli investimenti in ‘tecnologie integrate’».

Va detto che il campo di osservazione dell’Istat è circoscritto agli interventi finalizzati a salvaguardare l’ambiente sotto il profilo qualitativo, cioè in relazione a fenomeni di inquinamento e di degrado (emissioni atmosferiche, scarichi idrici, rifiuti, inquinamento del suolo, perdita di biodiversità, erosione del suolo, salinizzazione ecc.). Sono invece esclusi gli interventi che mirano a salvaguardare l’ambiente sotto il profilo quantitativo, ossia fenomeni di depauperamento dello stock delle risorse naturali (risparmio energetico, idrico, di materie prime, ecc.). E questa ci pare una lacuna non da poco – anche se magari questi dati verranno forniti più avanti - perché incrociare i due tipi “campi di osservazione” e i relativi numeri avrebbero prodotto un quadro ben più articolato e reale della situazione.

Il dato però che emerge – come detto in apertura – è che le imprese italiane hanno investito in modo crescente (quelle che lo hanno fatto) intervenendo per mitigare gli impatti e non per prevenirli. Insomma, poca innovazione di processo finalizzata alla prevenzione come criterio direttore anche se quei dati che mancano di cui davamo notizia in precedenza potrebbero in teoria anche smentire in parte questa affermazione. Ne dubitiamo, ma è possibile.

Passiamo dunque ai numeri: gli investimenti delle imprese – sostiene l’Istat – registrano una forte crescita nel periodo 1997-2001, passando da 1.061 milioni di euro nel 1997 a 4.163 milioni nel 2001. Nel triennio successivo segue una sensibile diminuzione, con gli investimenti che, nel 2004, raggiungono un valore (1.157 milioni di euro) prossimo a quello del 1997. Nel biennio 2006-2006 si osserva una ripresa, che riporta gli investimenti quasi al livello del 2002.

Interessante la motivazione che dà l’Istat su questo andamento: questa dinamica appare sensibilmente influenzata dalle misure pubbliche di incentivazione agli investimenti ambientali, le quali appaiono particolarmente incisive per numero e per l’ammontare delle risorse economiche messe a disposizione in corrispondenza di alcuni periodi. In particolare i Fondi strutturali comunitari 2000-2006, finalizzati esclusivamente o parzialmente agli investimenti in campo ambientale, o delle risorse destinate ad accordi quali il Protocollo di Montreal o quello di Kyoto.

Gli aumenti di investimenti tra il 1997 e il 2001 per l’Istat mostrano una significativa tendenza delle imprese ad internalizzare la produzione dei servizi ambientali: aumenti particolarmente significativi si registrano nel settore della gestione dei rifiuti dove gli investimenti passano dai 112 milioni di euro del 1997 ai 786 milioni del 2001; seguono il settore della gestione delle acque reflue che, nello stesso periodo, quadruplica i propri investimenti passando da 204 a 816 milioni di euro e il settore della protezione dell’aria e del clima dove gli investimenti passano da 578 a 1.352 milioni di euro; ma è per l’insieme dei settori ambientali compresi nella categoria “altro” - protezione e risanamento del suolo, delle acque del sottosuolo e delle acque di superficie; abbattimento del rumore e delle vibrazioni; protezione della biodiversità e del paesaggio; protezione dalle radiazioni ricerca e sviluppo; altre attività di protezione dell’ambiente - che si osserva la dinamica più forte, con gli investimenti che passano da 167 milioni di euro nel 1997 a 1.210 milioni nel 2001.

Il calo che caratterizza il successivo triennio 2002-2004 deriva da dinamiche differenti nei vari settori ambientali: nel settore della protezione dell’aria e del clima gli investimenti continuano ad aumentare nel 2002 ma calano drasticamente nel 2003 per riprendere ad aumentare lievemente nel 2004; nei settori della gestione delle acque reflue e della gestione dei rifiuti, gli investimenti, dopo il forte calo del 2002, segnano un lieve incremento nel 2003 per poi diminuire nuovamente nel 2004; nei settori ambientali rientranti nella categoria “altro” la diminuzione degli investimenti caratterizza l’intero periodo 2002-2004.

Nel 2005 – conclude l’Istat - la ripresa degli investimenti interessa tutti i settori ambientali; nel 2006 continuano ad aumentare gli investimenti per la protezione dell’aria e del clima, mentre per gli altri settori ambientali si registra una lieve diminuzione.


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