[03/03/2008] Aria

Ronchi: «Un´eventuale carbon tax non è un´alternativa a Kyoto»

LIVORNO. Appuntamento su “Sviluppo sostenibile in Italia e crisi climatica” oggi a Firenze alle 16.00 presso la Sala degli Specchi (Palazzo Vivarelli Colonna) con Edo Ronchi, vicepresidente della commissione territorio e ambiente del Senato e curatore del rapporto 2007 dell´Istituto Sviluppo Sostenibile Italia, il direttore generale di Arpat Sonia Cantoni, Enrico Falqui, Fabrizio Vigni presidente dell’associazione ecologisti democratici e altri esponenti delle istituzioni comunali e regionali.
L´obiettivo dell’incontro è un confronto su come governare i grandi processi in atto che riguardano i cambiamenti climatici e le crisi sociali che ne potranno derivare, mettendo in serio rischio la sostenibilità ambientale, sociale, economica del pianeta.
Anticipiamo alcuni stralci di questo ragionamento con Edo Ronchi.

Il Governo ha appena varato le quote di emissione per il periodo 2008-2012, per la seconda fase applicativa del protocollo di Kyoto e ci saranno poi gli ulteriori impegni per gli obiettivi delle tre venti, crede che sia un impegno che il nostro paese riuscirà a sostenere?

«La situazione è diversa fra i vari settori, ovvero tra il settore soggetto alla direttiva Emission trading (Ets) e quello escluso. L’obiettivo aggiornato al 2020 per i settori non Ets, ovvero trasporti, residenziale e servizi, rappresenta di fatto un abbassamento dell’obiettivo iniziale di Kyoto. Prevedere una riduzione del 13% delle emissioni per questo comparto rispetto ai livelli del 2005, significa azzerare il livello delle emissioni al 1990, per questo dico che è meno ambizioso di Kyoto. Oltretutto l’incremento del prezzo del petrolio e anche delle altre fonti fossili, sta già incidendo sulla flessione delle emissioni, lo si è già visto sul 2007 con una flessione di circa lo 0,8%, come aveva inciso nel 2006 l’inverno piuttosto mite che per una diminuzione dei consumi nel settore del riscaldamento aveva prodotto una flessione dell’1,5%. Se questi dati si proiettano al 2020, si ha già una stabilizzazione ai livelli del 90, quindi si è scelto con una trattativa a livello europeo, di intervenire chiedendo poco al settore Ets. Diverso invece l’atteggiamento verso l’altro settore cioè quello del termoelettrico, delle acciaierie e dell’industria chimica, dove per l’obiettivo al 2020 si prevede l’abbattimento del 20% delle quote di emissione. Soprattutto per il settore termoelettrico il contributo richiesto è notevole. Mi sembra quindi che vi sia troppa disparità sulla richiesta che viene fatta ai due settori».

L’Istituto Bruno Leoni, ha presentato una proposta per la fase del post Kyoto, che in pratica prevede di eliminare il meccanismo delle quote di emissione e di reintrodurre invece la carbon tax, permettendo la piena trasferibilità dei costi al consumatore finale. Che ne pensa di questa proposta?
«Prevedere un sistema alternativo al protocollo di Kyoto è del tutto estemporaneo. Sono stato recentemente a Brasilia, alla riunione del G8 + cinque in cui si discuteva degli schemi di riferimento per l’accordo post Kyoto, da cui si è reso sempre più probabile un rientro nell’accordo internazionale da parte di Usa e Brasile e da cui emerge che a livello internazionale un abbandono del protocollo di Kyoto non sta proprio tra le possibilità future. L’introduzione di una carbon tax è una delle ipotesi di cui si discute per il secondo step di Kyoto, ma non in alternativa. Del resto una carbon tax c’è già ed è rappresentata dall’aumento del prezzo del petrolio che si riflette anche sull’aumento del prezzo delle altre fonti fossili. Come del resto la trasferibilità dei maggiori costi sul consumatore finale potrebbe essere un fattore di orientamento del consumatore verso scelte che favoriscono di più i sistemi a minor emissione di Co2. Una carbon tax che colpisce i settori che hanno elevate emissioni di anidride carbonica, potrebbe favorire una maggiore efficienza, meccanismi che vanno verso il sequestro e la cattura della Co2 e soprattutto le energie rinnovabili».

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