[05/03/2008] Urbanistica

Dal grattacielo di Botta alla tramvia fiorentina il passo non è breve

LIVORNO. Per onestà intellettuale non vogliamo metterci sul piano della conoscenza in materia urbanistica al livello del chiarissimo professore di Progettazione e riqualificazione urbana e territoriale a Venezia, Pier Luigi Cervellati. Però l’intervista da lui rilasciata al Corsera, e pubblicata oggi, stimola in noi alcune riflessioni. Tutto nasce dalla notizia che a Celerina, vicino a Saint Moritz, verrà fatta una consultazione popolare sull’hotel a 4 torri disegnato dall´architetto Mario Botta. Il tema delle decisioni (in particolare del come, quando e chi) è noto e arcinoto, e ad essersi spesi intellettualmente su tale argomento sono già in moltissimi, sia tra gli “addetti ai lavori”, sia tra i “del tutto estranei ai lavori”. Il punto è che Cervellati comincia con un’affermazione e un collage di questioni che lasciano perplessi.

Intanto pone sullo stesso piano – a meno che non lo abbia fatto di sua sponte la giornalista Alessandra Mangiarotti e allora l´osservazione andrebbe a lei - la torre di Botta, la tramvia di Firenze e il filobus di Bologna dicendo che, relativamente ai referendum chiesti in quelle città, le persone «Vogliono partecipare alle scelte che riguardano il loro territorio». Poi spiega quelle che sono per lui le motivazioni ulteriori: «Primo: perché le loro città sono brutte. Secondo: perché dietro molti progetti si celano ragioni oscure». Messo così – sempre ripetiamo che non ci sia qualche sintesi giornalistica forviante – Cervellati dà dunque come dato acquisito che chi vuole i referendum a Firenze e Bologna considera queste loro città brutte. Ci sembra un po’ forte come affermazione e lo sarebbe anche se le città in questione non fossero considerati gioielli patrimonio dell’umanità come Bologna e Firenze. Tralasciando poi la questione della torre di Botta, non si può non osservare che il filobus a Bologna e la tramvia a Firenze non sono opere campate in aria per lo schiribizzo di qualche amministratore che si crede originale, ma tentativi di porre rimedio ad un problema assai urgente a tutte le latitudini: quello del traffico e dell’inquinamento dell’aria. Come lo sono le pale eoliche, i pannelli solari e via dicendo. Tentativi di dare soluzioni a problemi, non opere d´arte! Quando Cervellati parla di bello e brutto, dunque, omette totalmente l’aspetto dell’utilità di una certa struttura che invece andrà pur considerata, o no? Su Bologna e Firenze l’urbanista dice inoltre testualmente: «Quello di Firenze è stato un referendum positivo. Non c’è stato un trionfo di no, ma nemmeno un’ovazione per il progetto. A Firenze come a Bologna questi progetti vengono portati avanti senza conoscerne i benefici, senza pianificazione. E poi la pianificazione deve essere democratica e partecipata. Un sindaco non può dire non mi fermo. E’ una prepotenza. Si accentra per velocizzare tutto e invece così si fanno lievitare tempi e costi».

Un referendum dunque è positivo, seguendo il ragionamento di Cervellati, quando sostanzialmente dice no senza trionfalismo (e neppure senza quorum, ndr) e nemmeno un’ovazione per il progetto. Ovvero quando non porta ad alcun risultato? Dunque in questo modo il referendum ci pare non servirebbe proprio a niente e il dubbio deve essere venuto anche alla giornalista che infatti chiede: «Lei ha firmato progetti ovunque. Non pensa che se fossero stati sempre messi ai voti, molti sarebbero ancora bloccati?». E qui c’è il coup de teatre: «In fatto di urbanistica io sono contrario alla ricetta referendaria. E’ l’amministrazione che deve decidere, ascoltando i cittadini e tecnici. Al referendum si deve ricorrere solo quando un’amministrazione si accanisce nel voler andare avanti a tutti i costi». Insiste la giornalista, che forse come noi, non ha capito dove Cervellati voglia andare a parere: Lo spartiacque? «Il referendum va usato con molta cautela, ma tutte le volte in cui l’operazione è irreversibile. Se fossi un sindaco, sarei io il primo a chiamare i cittadini al voto in questi casi. Perché il referendum può essere un’arma di difesa per l’amministrazione: le dà sostegno nelle scelte e l’aiuta a smascherare le proteste strumentali».

Ma, letteralmente, esistono proteste non strumentali? Cioè le proteste hanno sempre e legittimamente la caratteristica di essere strumento per evitare ciò che si ritiene sbagliato? Il nocciolo dello strumento referendario è proprio il fatto che spesso i risultati dei referendum sono ambigui, altrettanto spesso non c’è il quorum e infine tutti interpretano come vogliono la posizione di chi non è andato a votare. Tra l’altro, anche quando un referendum è stato fatto, quelli che lo hanno perso continuano (legittimamente) a non essere d’accordo con quel progetto, quelli che lo hanno vinto faticano a mantenere la loro posizione, e se invece la mantengono vengono tacciati per quelli che non ascoltano. Inoltre le posizioni sono quasi sempre tantissime e allora una maggioranza che le ascolta tutte (giustamente) alla fine deve comunque (doverosamente) scontentare uno o più di uno. Dunque ricorrere al referendum, pensando che così si toglierà da ogni responsabilità, per scoprire che anche il referendum non ha come risultato bianco o nero non funziona. Insomma, al di la delle inesistenti pietre filosofali sul "come" si ascolta, il nocciolo del "cosa" (fare), "quando" (decidere) e "chi", sono componenti non isolabili e ineludibili non solo per gli inalienabili diritti di chi vuole partecipare alle decisioni ma anche per gli obblighi di chi è deputato alle stesse.

Torna all'archivio