[06/03/2008] Comunicati

Il global warming "è finito" solo sui titoli dei giornali

LIVORNO. La pagina 30 del Corriere della Sera di oggi è a dir poco disarmante, almeno per quanto riguarda la sua impostazione generale e soprattutto per i titoli che vanno dall’interrogativo di apertura “Dov’è finito il riscaldamento globale?” , agli allarmi per le “Bufere di neve dalla Cina al Sudafrica” giungendo infine alla sentenza che “Il dibattito sul clima si riapre”. Poco importa se nell’articolo di Franco Foresta Martin le conclusioni sono tutt’altre, e poco importa se il giornalista, accanto alle tesi di un manipolo di scienziati revisionisti che si è riunito nei giorni scorsi a New York, mette giustamente l’opinione di esponenti di primo piano della comunità scientifica internazionale che informano correttamente su cosa si deve intendere per riscaldamento globale.

Abbiamo chiesto un’opinione in merito a Luca Lombroso (Nella foto), metereologo e climatologo che svolge la sua attività di previsioni e di ricerca scientifica al Dipartimento Ingegneria dei Materiali e dell´Ambiente - Osservatorio Geofisico dell´Università di Modena e Reggio.

«Sapevo di questo convegno perché su Realclimate, un forum online dove si incontrano scienziati di tutto il mondo, ne abbiamo parlato: innanzitutto va spiegato che non si tratta di un convegno scientifico bensì commerciale, dove cioè si offrono svariate migliaia di euro ai relatori che vengono a parlare. Nel caso dei convegni scientifici invece esiste un comitato che seleziona le richieste di adesione e di intervento e molto spesso, non essendo appunto incontri sponsorizzati, sono gli scienziati stessi che devono pagare per poter portare le loro tesi. Non di rado quindi a questi incontri di tipo commerciale intervengono non climatologi, ma esperti di altri settori, che vivono ai margini della comunità scientifica e che ovviamente non riescono a pubblicare i loro lavori sulle riviste scientifiche».

Il convegno è stato organizzato dal fisico Fred Singer che ha ammesso più volte di ricevere fondi dalle lobbies petrolifere ma di essere onesto perché «sono sempre stato scettico sul global warming, anche prima di ricevere quei soldi».
«Appunto, il rigore scientifico di questo appuntamento è esemplificato dall’organizzatore, noto per aver messo in dubbio l’esistenza del buco dell’ozono che invece è una prova eclatante, evidenziata ormai da tutti i satelliti, di come gli allarmi ambientali si siano concretizzati».

Lasciamo perdere il convegno allora. Come possono essere spiegate queste ondate di freddo?
«Cominciamo dall’Italia, dove il global warming era evidente fino a 3 giorni fa, tanto che in alcune località si è registrata la temperatura di 27 gradi, che “abitualmente” dovremmo avere a metà maggio. Poi non è che oggi sia un così gran freddo, siamo anzi nella normalità solo che se si passa da un giorno all’altro da 20 a 2-3 gradi, le persone percepiscono la temperatura come freddissima».

Quest’inverno però in molti Paesi la temperatura è davvero calata bruscamente: in Cina è stato un inverno rigidissimo e non è troppo facile veder nevicare in Arabia Saudita…
«C’è stato un fenomeno climatico per cui alcune zone del globo hanno subito ondate di freddo imprevisto, probabilmente dovute allo svilupparsi nell’oceano pacifico della corrente fredda chiamata La Nina, ma questo esula dal riscaldamento del pianeta e fa parte della normale variabilità meteorologica: basta pensare solo per fare un esempio che mentre nevicava in Cina nelle isole Svalbard pioveva, è piovuto addirittura il 3 di gennaio. Oppure che per la Svezia questo è stato in assoluto l’inverno più mite almeno degli ultimi 250 anni».

Però non crede che la comunità scientifica pecchi un po’ in fatto di comunicazione, lasciando troppo spesso spazio a informazioni distorte e confuse?
«In particolare la scienza italiana è chiusa in sé stessa e spesso l’informazione è mediocre, in quanto i problemi di comunicazione delle scienziati vengono sfruttati dai media, che invece pretendono notizie facili e magari allarmanti. Quindi accade purtroppo che un cittadino che si stente dire che il pianeta si sta riscaldando e poi vede un metro di neve sull’Appennino Tosco Emiliano vada in confusione. Anche per questo motivo io, che più che uno scienziato sono un tecnico, in questi ultimi anni sto dedicando sempre più tempo ed energie alla divulgazione di buone pratiche ambientali, attraverso conferenze, trasmissioni televisive, internet e libri, come quello che uscirà nelle prossime settimane a cura della Società metereologica italiana: “L’osservatorio di Modena, 180 anni di misure meteo climatiche”. In questo libro scritto insieme a Salvatore Quattrocchi, si comprende bene che al di là di fenomeni estremi la temperatura di Modena si è alzata di diversi gradi rispetto a cent’anni fa».

Come spiega quindi questi “fenomeni estremi”?
«A parte il fatto che in Italia fenomeni estremi verso il basso non se ne vedono da tempo, perché sono inverni molto miti rispetto a qualche decennio fa, in ogni caso il processo in atto di riscaldamento globale non è a interruttore: i modelli climatici infatti indicano perfettamente e senza dubbio l’aumento graduale, ma per questioni fisiche non sono in grado invece di prevedere i salti bruschi della temperatura, come per esempio l’estate 2003, quello si che fu un fenomeno estremo. Da alcuni anni invece ci siamo stabilizzati su temperature di 1- 2 gradi sopra la media e questi sono dati acclarati».

Le conclusioni a cui è giunto l’Ipcc – conclusioni che sembrano essere state più o meno ignorate dai nostri politici durante l’elaborazione dei loro programmi elettorali – indicano che la responsabilità del riscaldamento climatico siano da dare alle attività umane..
«Esatto, ciò significa che non esistono altri fenomeni naturali in grado di spiegare il global warming. Non è che il 10% significa che possono esserci altre possibilità, bensì che avere la certezza e la dimostrazione pratica della responsabilità dell’uomo, dovremmo bruciare tutto il petrolio e distruggere la terra».

Non pensa che al di là delle varie iniziative messe in campo ai vari livelli, sia oggi necessario ripensare al modello di sviluppo, riconvertendo in senso ecologico la nostra economia?
«Noi abbiamo tantissime altre ragioni per agire indipendentemente dal protocollo di Kyoto e dall’auspicabile adesione da parte degli Stati Uniti e degli altri Paesi rimasti fuori. Il clima non è affatto un problema solo ambientale, basti pensare agli impegni che l’Italia si è presa a livello internazionale, come la riduzione delle emissioni del 6,5% a fronte invece dell’aumento che invece è stato del 13%: impegni che se non ottemperati costeranno al paese oltre 2 miliardi di euro l’anno: in ogni caso la riduzione dei consumi e degli sprechi è dovere morale ed economico, per quanto riguarda l’energia, ma in generale per tutte le materie prime. Stiamo ormai per arrivare al picco del petrolio e gli scenari sono molto inquietanti, soprattutto se non riusciremo nei prossimi anni a riconvertire seriamente il nostro modello di sviluppo».

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