[11/03/2008] Urbanistica

Il governo del territorio e il nuovo ambientalismo (di Conti)

FIRENZE. «In tema di pianificazione dell’uso e di governo del territorio, l’ideologia della regolamentazione è cattiva consigliera. La direzione deve essere quella, seguita nei Paesi europei più avanzati, di minimizzare il consumo di suolo vergine, di green land, e di puntare invece sulla riqualificazione delle brown lands , le aree già costruite». Questo si legge al punto 5 del programma del Partito democratico. E da questo punto parte l’ Assessore regionale all’urbanistica e infrastrutture, Riccardo Conti (in apertura del seminario sull’urbanistica toscana tenutosi ieri a Firenze), dichiarandosi «disorientato». Disorientato perchè «se il territorio è una risorsa, e lo è, allora ha bisogno di una sua cultura di governo, cioè di una regolamentazione. O si crea regolamentazione o si naviga a vista in un mare di vincoli e controvincoli incrociati, spesso in contraddizione tra loro, che poi lasciano aperta la possibilità di casi come Monticchiello». Conti considera questo punto come una potenziale falla del programma del Pd davanti al possibile uso strumentale e puramente conservativo delle istanze di protezione del territorio. Inoltre, nel presentare il suo libro “Innovare e amministrare – un anno di dibattito urbanistico in Toscana”, evidenzia i suoi dubbi sull’ essenza stessa della soft-economy : «la Toscana non è il lardo di Colonnata: siamo una regione moderna, dinamica. E se si cerca di tornare all’Arcadia prendiamo la strada sbagliata. Necessita un investimento in riforme, e dobbiamo mantenere la dinamicità sul territorio». Obiettivo sostanziale di Conti è tracciare all’interno del Pd una linea che si riveli impermeabile alla penetrazione di istanze che confondano tutela ambientale e difesa dei localismi, salvaguardia del territorio e sua preservazione a carattere puramente conservativo. In altre parole, separare difesa del territorio e sindrome Nimby.

Ma se anche le intenzioni sono buone, l’atmosfera che si respira al Teatro dell’affratellamento, lo stesso da dove Asor Rosa lanciò la richiesta di moratoria per l’eolico e per le linee 2 e 3 della tramvia fiorentina, è di un ulteriore contributo allo strappo tra le due anime dell’ambientalismo italiano, quella storica e quella riformista che, con la nascita del Pd, ha assunto rappresentanza politica diretta. Il radicamento della cultura della sostenibilità all’interno del Pd è – almeno se si effettua un confronto con la parte politica avversa, e cioè col Pdl – cosa fuori discussione. Ma verso quale sostenibilità ci si possa muovere all’interno del nuovo centrosinistra, è domanda che ancora aspetta risposta: come dalle ceneri del comunismo è nata la cultura riformista, anche dalle ceneri dell’ambientalismo old-style ci aspettiamo la nascita di un’araba fenice che, pur nella sua crescita e nel suo puntare ad un ambientalismo “adulto” che non si limiti al dire “no”, non diluisca le sue istanze primarie in un indistinto brodo di “si, ma anche”. Sostenibilità è bilancio, confronto di interessi tra stakeholders , compromesso. Ma non può diventare un esclusivo compromesso al ribasso: se si dimentica che il primo stakeholder è il territorio, e non l’uomo che lo abita e che ne è solo parte, si ritorna ad un antropocentrismo culturale che con l’ambientalismo (di nuovo e di vecchio stile) non può avere niente a che fare. Anche questa si rivelerà in futuro una faglia politica all’interno del Pd (sostanzialmente analoga a quella tra laici e cattolici) i cui sviluppi sono ancora tutti da decifrare.

Ma comunque, che la politica territoriale del Partito democratico possa rappresentare una «uscita dalla cacofonia di schiamazzi del precedente governo dell’Unione riguardo alle politiche infrastrutturali e di gestione del territorio (es. Tav, rifiuti e inceneritori)», come ha dichiarato il segretario regionale del Pd Andrea Manciulli, è fenomeno assolutamente auspicabile. Secondo Manciulli è inoltre «assurdo pensare che conservare sia meglio che proseguire nella dinamicità (naturalmente guidata dalla cultura, dal sapere, dalle scelte intelligenti)». E valgono a riguardo le considerazioni fatte poco sopra: la conservazione fine a se stessa è quanto di peggio ci possa essere, ma la crescita fine a se stessa, pure, non ha nessun senso, anche perchè la nozione di “sviluppo” è in via di evoluzione, e sta allontanandosi sempre più dalla sua vecchia connotazione, strettamente legata alla sola crescita economica, muovendosi verso degli indicatori di crescita e sviluppo che non prescindano più dalla qualità della vita e dalla tutela radicale (nei casi in cui ciò si renda necessario) del paesaggio e dell’ambiente.

E tocca al responsabile ambiente dell’esecutivo del Pd, Roberto della Seta, porre un certo freno: «la polemica assurda sulla Toscana simbolo dell’assalto al territorio, che il caso Monticchiello ha innescato confondendo l’opinione pubblica, è in qualche modo legata al rapporto fecondo ma contraddittorio che si è da sempre instaurato tra sinistra italiana e urbanistica: la lotta al “Sacco di Roma” nel dopoguerra rappresentò, così come le prime istanze di tutela ambientale, uno dei primi punti di incontro tra sinistra radicale e riformista. Ma il primo governo di centrosinistra cadde proprio sul tentativo di riforma della legge urbanistica, e fenomeni come l’abusivismo edilizio hanno trovato complicità anche nella sinistra italiana, soprattutto nel Mezzogiorno dove l’abusivismo era visto come strumento di emancipazione sociale delle classi più disagiate: questi sono stati dei fallimenti, e da questi fallimenti occorre ripartire».

Ma liberarci da radicalismi ed estremismi non ha senso se non si sceglie «con quali valori omogenei sostituirli. La contraddizione contenuta nel programma del Pd che Conti ha evidenziato è data dalla volontà di porsi come alternativa sia alla difesa conservatrice dello status-quo e dai localismi da una parte, ma anche ad una idea liberista dello sviluppo territoriale dall’altra. E non confondiamoci sulla soft-economy, di cui il lardo di Colonnata rappresenta ovviamente solo una metafora: la soft-economy è un’economia che sostituisce il più possibile i flussi di materia con i flussi di informazione. Tanta informazione, e poca materia. In questo senso soft-economy è anche il lardo di Colonnata, è la completa cablatura di Siena. Cerchiamo di non compiere più l’errore di ridurre un’idea di sviluppo ad una caricatura».

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