[14/03/2008] Comunicati

Cos´è e quanto conta la gente?

LIVORNO. Metti che una ragazza chieda ad un politico: siccome sono una studentessa e ho un lavoro precario, qual è il tuo programma per aiutare chi come me è in questa situazione visto che, per l’appunto, siamo anche parecchi? Metti poi che quel politico le risponda: consentimi di dirti che con quel sorriso hai ottime chance di trovarti un marito con i soldi e dunque segui il mio consiglio e cerca un buon partito. Metti poi che da questa battutaccia da avanspettacolo si alzi un putiferio mediatico con grancassa e compagnia cantante con tutti a dire a quel politico peste e corna. Metti poi però che quella ragazza, che tutti con cuore in mano hanno difeso a spada tratta, dica: «Ha!Ha!Ha! Che simpatico quel politico, quasi quasi lo voto». Il ragionamento è di pura fantasia, in nessun Paese normale si assisterebbe a una baracconata del genere, ma lavorando di fantasia vorremmo riflettere su quella parte dell’intervento di Hans Magnus Enzensberger al Festival della matematica apparsa oggi su Repubblica. «Il pensiero scientifico – dice lo scrittore e poeta tedesco – ha voluto fare piazza pulita di tutto quello che riteneva superstizione. Ma dietro il problema del destino si nascondono tranelli e ghiribizzi metafisici».

«Del resto la parola ‘calcolo’ – prosegue Enzensberger – deriva dal latino calculus, cioè ‘pietruzza’. In origine, difatti, sassolini bianchi e neri venivano usati come oracoli e talismani, oppure per ricordare gli eventi fausti o infausti. In seguito i sassolini furono utilizzati per emettere verdetti di condanna o di assoluzione, e solo alla fine della loro carriera sono finiti sulle nostre scacchiere». I numeri però – che ci piaccia o no – sono in tutto ciò che ci circonda. Tutto viene calcolato e se non si ha dimestichezza con almeno addizioni e sottrazioni si finisce per scambiarli davvero con sassolini bianchi e neri. Non solo, la nostra capacità di calcolo - che si può leggere anche come capacità critica per valutare sulla base di dati oggettivi (o il più oggettivi possibili) le azioni delle persone, il loro operato e così di un’istituzione o di un’azienda privata - è quello che ci fa prendere le decisioni giuste o quelle sbagliate. Pensate a questo esempio sempre di Enzensberger: «Secondo una definizione della Commissione Europea, è da considerarsi povero chi guadagna meno della metà del reddito medio degli abitanti del suo paese. Il che significa, naturalmente, che la povertà è destinata a vita eterna, perché anche se il reddito medio annuo pro capite salisse a 2 milioni, anche i semplici milionari sarebbero considerati dei miserabili. Per contro, si può escludere con certezza un tasso di crescita del 200 per cento: ma ciò serve ben poco a chi deve campare con 1 dollaro, massimo 3 al mese. Si è detto che in questo modo possono sorgere errori molto grossolani. Ma onestamente, chi saprebbe spiegare su due piedi che cosa si intende quando si parla di “valore medio”? Si tratta della media aritmetica, del valore mediano o del valore modale?».

Il punto è serio perché si possono fare errori mastodontici che portano persino a scambiare persone grandi con grandi persone. Oppure credere che uno “dia dei numeri attendibili” quando invece sta solo “dando i numeri”. Oppure a dire – senza farne una questione da campagna elettorale – che leggendo il programma del Pd uno può essere portato «a concludere che ricerca ed education non siano una decisiva emergenza nazionale, da cui dipende il benessere della comunità e il futuro dei propri figli»(Sole24Ore intervento di Andrea Gavosto e Riccardo Viale). Quando basterebbe, invece, fare la “ricerca” – come abbiamo fatto noi – di quante volte la parola “ricerca” è scritta nel programma di quel partito – 24 volte più 4 volte ricercatori – per capire che semmai il problema potrebbe essere l’opposto: ovvero l’abuso di una parola che viene interpretata come neutra quando sappiamo bene che non è così. Cosa che assomiglia molto a quando si ritiene la parola ‘innovazione’ buona in sé.

Ha ragione invece Piero Ostellino (Corriere della Sera) quando dice che sia il Pd, sia il Pdl basano molto della loro campagna elettorale sui sondaggi (così in tutto il mondo da anni) perdendo di vista un aspetto “che non è un prodotto elettoralmente ‘commerciabile’» quale quello del potere pubblico. Ovvero del fatto che «lo Stato non c’è dove dovrebbe esserci – garantire sicurezza, legalità, giustizia, istruzione – e c’è dove non deve, producendo illegalità, divieti, vincoli, sanzioni illegittime». Che poi si quantifica in «un’enorme produzione di leggi» che «vanifica la certezza del diritto e paralizza la società». E questo, se è vero, dimostrerebbe appunto che i sondaggi non dicono certo tutto su quello che vuole questa “gente” a cui tutti parlano e che tutti sembrano avere dalla loro parte. Saper far di calcolo significa saper anche capire da che parte si sta e perché.

Ogni cosa o quasi, dicevamo, è rappresentabile con i numeri e questo è uno dei cardini della contabilità. Anche quella che interessa a noi, ovvero quella ambientale. Strumento indispensabile per un’economia ecologica che ha bisogno – per essere orientata - di una politica che sappia di cosa sta parlando. Che non usi i “numeri” a sproposito e che non lo faccia soprattutto perché è consapevole di avere di fronte “gente” pronta a rispondere punto su punto. Perché preparata almeno sui fondamentali che una scuola migliore di quella attuale avrà aiutato loro a formare.

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