[25/03/2008] Recensioni

La Recensione. Innovare e amministrare di Riccardo Conti

Il libro in 500 pagine raccoglie oltre ai contributi vari e diversi dell’autore - assessore al territorio e alle infrastrutture della Regione Toscana - anche numerosi e autorevoli interventi di varie personalità che a diverso titolo hanno partecipato ad appuntamenti regionali e nazionali tenutisi in Toscana sul tema del governo del territorio.

Ma già qui in considerazione anche del sottotitolo del volume ‘un anno di dibattito urbanistico in Toscana’ va anticipata una osservazione e cioè il governo del territorio a cui pure la nostra regione ha intitolato nel 2005 una legge, è visto prevalentemente anche se non esclusivamente da questa angolazione urbanistica che finisce per fare – diciamo così - la parte del leone lasciando in ombra o talvolta ignorando aspetti niente affatto secondari rispetto al tema generale dell’ambiente e della stessa pianificazione; un limite che in qualche misura si ritrova anche nella legge del 2005 come da più parti fu allora criticamente rilevato.

Il libro anche per il ruolo di governo del suo autore ha un taglio fortemente politico-istituzionale il che ben lo colloca e neppure diplomaticamente ma combattivamente - anzi anche un po’ ‘faziosamente’, come annota lui stesso - in quel vivacissimo dibattito che da più d’un anno vede la Toscana al centro di una aspra controversia con ampie e importanti implicazioni nazionali.

E non è certo un caso quindi che il volume raccolga contributi prestigiosi di livello nazionale non solo di ‘specialisti’ della materia a conferma appunto di quelle più generali implicazioni politico-istituzionali alle quali abbiamo fatto cenno. Queste sono ben tratteggiate nella presentazione di Claudio Martini che non a caso parla per la Toscana di una esigenza di un nuovo modello di sviluppo che ha il pregio di evitare le secche della parzialità settoriali urbanistica inclusa.

I diversi contributi di Conti sono nella maggior parte dei casi riferiti naturalmente al Pit e Prs e al dibattito che essi hanno innescato non soltanto in Toscana e riconducono tutti alla esigenza di superare – come lui la chiama – ‘l’urbanistica della paura’, per misurarci senza complessi e nostalgie con l’urbanistica del fare. E qui torna più volte quella critica politica rivolta anche agli amici di ‘partito’ che punterebbero tutto sulla soft economy suggestivamente simbolizzata dal lardo di Colonnata.

Una buona urbanistica insomma che a differenza di quella riproposta dalla riforma Lupi fortunatamente naufragata guarda ad una ‘fare’ che non sia subalterno alla rendita.

Il Pit - dice Conti a più riprese - ha questa ambizione superando anche la vecchia immagine delineata da passate analisi regionali delle 4 toscane le quali ora possono confluire in una toscana policentrica ‘città di città’ con un sistema infrastrutturale funzionante da consentire di fare della nostra regione non solamente il tranquillo pensionato per stranieri ben accolti nei nostri agriturismi. Conti ricorda anche Prodi che a Siena raccomanda di non affidare le sorti della Toscana ai soli agriturismi; un aspetto chi ricorrerà. in diversi interventi e che induce però ad annotare che l’argomento avrebbe meritato ben altra considerazione e approfondiemento in quanto il tema di oggi è una agricoltura rinnovata, improntata non solo al sostegno dei prezzi ma ad una nuova ruralità a cui punta oggi l’unione europea e a cui la Toscana deve e può dare un importante contributo per gli effetti non soltanto ambientali e del paesaggio ma anche economico sociali.

E qui già si avverte quel ‘limite’ di una analisi che sembra lasciare sovente troppo sullo sfondo - quando non ignora totalmente - questioni per niente marginali. Limite che si ritrova in analisi come quella di Grassi che riconduce non più a 4 bensì a due le toscane- quella delle città e quella delle colline e delle campagne- con una separazione che non convince del tutto. E’ pur vero che in molti interventi specie di Conti si insiste molto sulla necessità di considerare la nostra regione come un insieme non scomponibile ma va detto che dalla lettura del libro – dove stranamente salvo una menzione di Martini - non si fa mai cenno al Praa che aveva ed ha il merito se non altro di soffermarsi sulle diverse criticità ambientali della nostra regione.

Criticità che offrono una chiave di lettura della nostra realtà molto concreta più di quanto lo permettano alcune digressioni e talvolta divagazioni sulla rendita e il profitto o la differenza tra buona urbanistica e buoni amministratori. Mi sembra giusto annotarlo perché in più d’un caso si ha l’impressione che nella polemica si creino anche bersagli in qualche misura di comodo. Quando Conti, ad esempio, nella relazione a Livorno su ‘La toscana in movimento’ fa riferimento ad una certa borghesia intellettuale romana e milanese ospite inospitale nella nostra regione che ci inviterebbe ad accettare ‘la nuova divisione del lavoro essendo il nostro destino segnato; grande paesaggio, seconde,terze e quarte case per il buon riposo per cui non resterebbe che attrezzarsi come albergatori, giardinieri etc’ si prende una licenza politica perché il crinale del dibattito non è certo questo.

E qui si pone una questione di fondo che molto a fatica era andata emergendo nel corso del dibattito soprattutto di questo ultimo anno e che ora nel libro trova una chiara conferma in quanto possiamo avvalerci di un vero e proprio riassunto delle diverse puntate anche precedenti che permette una valutazione d’insieme. Ed è l’immagine –diciamo così- che ne scaturisce della politica ambientale della nostra regione. Tutto lo sforzo- anche con le non necessarie forzature polemiche prima richiamate- è volto ad affermare che i vincoli non bastano, che il territorio non può e non deve essere imbalsamato e musealizzato e che non basta dire no. Ma è stata ed è davvero questa la risposta politica della regione e degli enti locali toscani? E soprattutto è questa la risposta che si intenderebbe dare ai nuovi problemi?

Lo stesso Conti - ma con lui molti altri interlocutori politici da Giuliano Amato a Massimo D’Alema - in diverse occasioni come il libro ci ricorda hanno posto l’accento sul nostro passato, la ‘memoria’ del nostro buon governo che D’Alema preferisce alla ‘governance’ tanto di moda.

Da questa nostra memoria non possiamo certo estromettere quella cultura della tutela attiva che a qualcuno sembra una scoperta di oggi ma che nella nostra regione prese avvio alcuni decenni fa come ricorda –ma è un richiamo del tutto isolato- Silvia Viviani quando dice ‘Tutti noi ricordiamo la stagione delle aree protette e che, già nel 1990, la Regione ha detto che la pianificazione ha contenuti paesistici’.

E’ la stagione che vide impegnato non a caso Antonio Cederna, sono gli anni in cui prendono corpo i piani dei parchi regionali in primis quello di Cervellati i quali per la prima volta superano l’ottica e l’approccio esclusivamente urbanistico e vincolistico per misurarsi proprio con quella tutela attiva a tutto campo che qualcuno sembra scoprire solo oggi. Evidentemente se c’era dormiva.
E qui possiamo ricollegarci a quella osservazione critica già avanzata a suo tempo alla legge del 2005 che erose -diciamo così- il ruolo della pianificazione dei parchi che pure in Toscana non meno che in altre regioni avevano ben saputo realizzare due obiettivi di grande attualità ancorché largamente ignorati nel presente dibattito libro compreso.

Innanzitutto per la prima volta il livello di pianificazione non settoriale – aspetto da ricordare - riguardava quell’ambito sovracomunale derivante dai confini amministrativi - vedi piani intercomunali (di cui si ricorda nel libro e giustamente il sostanziale fallimento) – bensì perimetrazioni a carattere ambientale ed ecosistemico. Il secondo aspetto non meno rilevante ed attuale fu quello di affrontare unitariamente in un piano i temi ambientali e del paesaggio. Quei profili che oggi il nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio torna a separare e scindere.
Il libro che raccoglie interventi e documenti degli ultimi due anni conferma clamorosamente questo inspiegabile silenzio di cui avvertimmo tutta la gravità fin da Monticchiello di cui tuttora ci si limita a ricordare – vedi anche la relazione della Zoppi-il bollino dell’UNESCO ma a ignorare che li opera una ANPIL ossia un’area protetta locale di ben 60.000 ettari.

Devo dire che la prima osservazione - anzi domanda – politica, che mi viene da rivolgere è se la cura Matteoli che per lungo tempo fu imposta ai parchi nazionali anche tosco-emiliani fu un fatto irrilevante e le proteste che giustamente suscitò specialmente da parte di Claudio Martini, non segnalavano un ‘danno’ al governo del territorio della nostra regione e proprio in alcune di quelle aree critiche di cui parla il Praa.

Ricordiamole: Arcipelago Toscano con il suo marasma edilizio-urbanistico, l’Appennino Tosco –Emiliano dove è stato sperimentato sotto il coordinamento della regione Toscana quel progetto Ape con le regione Emilia e Liguria ‘Una città di villaggi dalla Padania al Tirreno’, che vide mancare all’appello proprio il nuovo parco nazionale perché commissariato. Possibile che quei parchi finalmente tornati alla normalità in situazioni di criticità tanto delicate per ragioni molto diverse possano accontentarsi di una filiera incentrata su regione, province e comuni. Davvero parchi e autorità di bacino (penso all’Arno che nel Praa vi figura concretamente come area protetta con tanto di apposito finanziamento) possano sparire dalle vecchie matrioske e anche dalla nuova filiera istituzionale? C’è qualcuno che ricorda –dal libro sembrerebbe proprio di no-che i parchi per legge dovrebbero fare ben due piani e che per quello pluriennale socio-economico la regione Toscana è tra le poche (anzi forse l’unica) che predispose anche una sua direttiva regionale specifica?

D’altronde che nessuna delle 500 pagine di questo libro sia dedicata al tema non può non sorprendere ed anche allarmare. Ma va detto pure che qui la responsabilità non è interamente attribuibile ai molti i cui interventi abbiamo potuto leggere o rileggere nel libro ma anche a chi ha taciuto quando era bene parlasse. Per fortuna si è ancora in tempo a partire proprio dalla nuova legge regionale sulle aree protette che ci offre una occasione unica per farlo seriamente.

Torna all'archivio