[27/03/2008] Consumo

Solo la competizione infinita salverà l’America latina dal declino?

LIVORNO. Alla Banca mondiale stavano simpatici i Chicago boys che imperversavano in America latina, dal Cile di Pinochet all’Argentina di Menem, applicando le ricette del liberismo estremo del Fondo monetario in Paesi stremati da dittature e populismo da operetta, stavano sicuramente più simpatici dei nuovi presidenti “progressisti” democraticamente eletti e che cercano, pur contraddittoriamente, di cambiare ricetta. Ma probabilmente l’antipatia stavolta ha preso un po’ la mano se il sito della World Bank si apre con la recensione di un libro che sostiene che l’America latina rischia di diventare «mondialmente priva di importanza» entro i prossimi 20 anni. Come se fino ad ora questo continente-giardino di casa un’importanza la avesse avuta!

La Banca mondiale prende spunto dal lavoro del premio Pulitzer Andres Oppenheimer, che già tre anni fa suscitò un vasto dibattito con il suo libro “Cuentos chinos (Tall Tales)”, che metteva in guardia sul fatto che il boom economico legato alle materie prime che conosce l’America Latina nasconde di fatto il ritardo del subcontinente rispetto al resto del mondo in via di sviluppo, in particolare in rapporto all’Asia.

Ora Oppenheimer propone una nuova edizione aggiornata del suo libro destinata al nord America e la dota di un titolo lungo ed esplicativo: “Saving the Americas: The Dangerous Decline of Latin America and What the US Must Do”, che è stata presentata dall’editorialista del Miami Herald direttamente alla libreria della Banca mondiale.

Oppenheimer ammette che i segni vitali dell’economia sudamericana «sembrano ragionevolmente buoni»: le vendite di petrolio, di rame e di altre materie prime di base sono in pieno sviluppo, la crescita economica media è intorno al 5% e alcuni Paesi conoscono un ritmo ancora più rapido, ma il giornalista americano sottolinea che la crescita dell’America latina è inferiore a quella di altre regioni in via di sviluppo e che la stessa crescita non ha permesso alla regione di diventare più equa. «L’America latina soffre ancora di un importante scarto tra i ricchi e i poveri, mentre nei Paesi asiatici dove la crescita è ancora più rapida, come la Cina e l’India, la povertà è in forte calo».

Tesi abbastanza ardita, visto che rapporti della stessa World bank hanno più volte sottolineato l’abisso che separa sempre più i nuovi ricchi asiatici dalla massa malpagata e priva di diritti di proletariato industriale e contadini, inurbati o meno.

La tesi è che invece di accogliere gli investimenti stranieri e locali, come hanno fatto i Paesi asiatici, l’America latina non è stata in grado di risolvere problemi come la criminalità e l’appesantimento commerciale che scoraggiano gli investitori e gli imprenditori locali e stranieri.

Secondo Oppenheimer, che per scrivere il suo libro ha girato 10 Paesi latinoamericani, la Cina, l’India e l’Europa, è ancora più preoccupante la stagnazione dell’America latina riguardo all’educazione, alle scienze ed alla tecnologia: «Mentre gli asiatici e gli europei dell’est creano una manodopera sempre più qualificata, la maggioranza dei Paesi dell’America latina ha appena modificato il sistema educativo desueto. Ci sono molti avvocati, economisti ed anche fisici in America latina, ma ci sono pochi ingegneri. La regione realizza solamente il 19% della ricerca e dello sviluppo del mondo intero. Delle 200 migliori università del mondo, solo tre sono situate in America Latina».

Parole che sono miele per gli economisti della Banca mondiale che pensano che la regione si troverà davanti a sfide sempre più importanti, soprattutto il confronto con Cina ed India metterà sotto pressione l’America latina che dovrà adattarsi, se non vuole essere staccata. Insomma una corsa infinita verso una crescita di cui nessuno prevede la fine, una competizione global-nazionalistica per occupare posti di rilievo in una gara che vista così sembra quasi insensata.

Il giornalista Usa sembra dimenticare che le condizioni di partenza sono leggermente diverse: solo oggi, e per la prima volta da almeno una generazione a questa parte, l’economia più importante dell’America latina, il Brasile, conosce una crescita stabile del 4,8%, una bassa inflazione al 4%, un tasso di iscrizione scolastica del 94% tra i ragazzi da 7 a 14 anni e un tasso di povertà che dal 52% del 1990 è sceso al 38% nel 2005.

Però qualcuno pensa che l’avvenire dell’America del sud possa essere migliore di quanto prevede Saving the Americas: «Io sono più ottimista – dice Augusto de la Torre, economista capo della Banca mondiale per l’America latina e i Caraibi – Quando si guardano i segnali attuali, è vero che non è ancora una bella vista, ma ci sono anche buone cose che vengono prodotte. Il lato positivo è certamente più vicino».

Secondo lo studio “America and the Caribbean’s Response to the Growth of China and India: Overview of Research Findings and Policy Implications”, l’accresciuta presenza di Cina ed India nell’economia mondiale potrebbe aiutare il Sudamerica, visto che i due giganti asiatici sono affamati di cereali, metalli industriali, petrolio e risorse energetiche che l’America Latina può mettere a disposizione.

Secondo la Torre «anche se la crescita globale dell’America latina, del 5,1% nel 2007, è più bassa di quella della Cina e dell’India, alcuni Paesi come Panama, il Perù, l’Argentina e la Colombia hanno raggiunto tassi di crescita paragonabili a quelli dei Paesi asiatici nel corso di 4 o 5 anni. Cominciano a dar prova di un dinamismo economico che potrebbe elevare la tendenza alla crescita. La performance degli ultimi 5 anni è stata sostenuta da politiche monetarie e fiscali più sane. La regione è più preparata per resistere ai capovolgimenti esterni».

I Paesi dell’America latina possono utilizzare le loro risorse naturali come trampolino verso la prosperità, ma secondo de la Torre, «Per progredire veramente e gestire una crescita economica a lungo termine, questi Paesi hanno anche bisogno di istituzioni, di innovazione, dio imprenditoria e di manodopera qualificata, per creare un ciclo virtuoso di crescita della produttività. Le politiche nazionali devono mettere l’accento su tutti questi fattori».


Torna all'archivio