[31/03/2008] Energia

Un post-it al post-Kyoto: per le alternative riorientare pure le risorse

LIVORNO. La lunga marcia dei negoziati per trovare un nuovo accordo internazionale sul cambiamento climatico, il cosiddetto post-Kyoto, inizia oggi da Bangkok e approderà a Copenaghen, nel dicembre 2009. Quattro i summit previsti nel 2008 per preparare il terreno in modo da raggiungere un accordo (che a questo punto dovrà essere davvero globale) per ridurre le emissioni di anidride carbonica a livello planetario nel 2012.
Una impresa non facile, resa ancora più complessa dalla situazione economica che, partita dagli Usa sta coinvolgendo il resto delle economie globali e che potrebbe rappresentare un freno al raggiungimento di un accordo per tagliare di più del 50% entro la metà del secolo (rispetto ai livelli del 1990) le emissioni climalteranti, necessario per contenere i limiti il riscaldamento planetario ad un massimo di 2°C.
Che potrebbe però rappresentare anche una eccezionale opportunità per imprimere la spinta adeguata al radicale cambiamento dell’attuale modello energetico, spostando l’asse dalle fonti fossili alle rinnovabili e al recupero dell’efficienza.

Oltre al problema del surriscaldamento del pianeta, c’è infatti anche il dato sull’assottigliarsi delle riserve delle fonti fossili, che dovrebbe spingere in questa direzione. Ce lo ricorda anche il premio Nobel Carlo Rubbia, citando i dati del rapporto dell´ Energy watch group, istituito da un gruppo di parlamentari tedeschi con la partecipazione di scienziati ed economisti, come osservatori indipendenti. Nel rapporto emerge in maniera saliente che le previsioni dell’ Agenzia internazionale per l´ energia (Aiea) sull´ andamento del prezzo del petrolio e sulla produzione di energia a livello mondiale, non corrispondono affatto alla realtà. Dalla fine degli anni novanta a oggi, infatti il prezzo del petrolio, che si prevedeva salire in maniera progressiva di 10 dollari l’anno, si è impennato sino agli attuali livelli quasi stabili sopra i 100 dollari. Offrendo uno scenario, per così dire tranquillizzante, nei confronti dei decisori politici e dell’opinione pubblica, che deve invece fare i conti con i continui rialzi dei prezzi che a cascata si ripercuotono non solo sui carburanti ma soprattutto sui generi di prima necessità. Una situazione su cui anche l’effetto delle speculazioni avrà senza dubbio un suo peso, ma che parte comunque da una dimensione strutturale, che è quella di una diminuzione della materia prima. E anche su questo la forbice tra le previsioni della Iea e la realtà effettiva appare assai divaricata. Mentre la prima prevede infatti che la produzione di greggio possa continuare a crescere da qui al 2025, lo scenario dell´ Energy watch group annuncia invece un calo in tutte le aree del pianeta che porterà ad un totale di 40 milioni di barili contro i 120 pronosticati dall´Agenzia.

Stessa cosa per quanto riguarda i dati relativi allo sfruttamento dell’energia nucleare, su cui si preannuncia una diffusa volontà di rilancio sia in Europa (compreso il nostro paese che, e questo la dice lunga, è pure in fase elettorale) che nel resto del mondo. In un altro studio specifico elaborato dall´ Energy watch group, si afferma infatti che le previsioni della Iea sulla produzione di energia nucleare si sono fortemente discostate dalla realtà, ancora una volta per il problema della diminuzione di uranio, che secondo Rubbia, al pari del petrolio e degli altri combustibili fossili, è destinato ad esaurirsi entro 35-40 anni. Sarebbe quindi un errore strategico secondo il Nobel per la fisica continuare a «elaborare piani energetici sulla base di previsioni sbagliate che rischiano di portarci fuori strada» mentre risulta assai più conveniente sviluppare tecnologie in grado di utilizzare fonti energetiche che la natura ci mette a disposizione senza limiti e a costo zero.

La realtà ci indica invece che si continua ad investire per ricercare tecnologie in grado di sfruttare giacimenti di petrolio in aree di difficile accesso, o di ottenerlo distillando il carbone, tecnica che ancora oggi a distanza di quasi un secolo dalla sua scoperta risulta ancora troppo costosa (sino a quattro volte in più rispetto alla raffinazione del greggio) e generatrice di una quantità di anidride carbonica del 10% superiore alle tecniche di raffinazione correnti. Anidride carbonica che si vorrebbe poi confinare in giacimenti sotterranei su cui ancora non si hanno certezze né riguardo alla stabilità nel tempo né tanto meno dei costi necessari a realizzarli. Come del resto si continua ad investire in ricerche per arrivare a produrre energia atomica con un maggiore grado di sicurezza e senza scorie. «Non esiste un nucleare sicuro. O a bassa produzione di scorie» ricorda Rubbia, come altresì, sottolinea riguardo all’uso del carbone, «non si risolve il problema nascondendo l´anidride carbonica sotto terra».

Viene da chiedersi allora perché destinare grandi capitali in ricerca per continuare a sfruttare fonti fossili (che al di là di diverse previsioni sono comunque in via di esaurimento) per cercare il modo di piegarle alla necessità di far fronte ad una riduzione di emissioni e quindi frenare il surriscaldamento del pianeta. Non sarebbe più opportuno destinare le stesse risorse economiche e di idee per migliorare la resa delle energie rinnovabili ed ottenere al tempo stesso il vantaggio di ridurre le emissioni climalteranti e garantirsi il futuro, non solo energetico, del pianeta?

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