[31/03/2008] Recensioni

La Recensione. Capitalismo naturale

«Il libro Capitalismo Naturale descrive un´alternativa che porterebbe stupefacenti benefici non soltanto alle future generazioni ma anche agli azionisti di oggi». Usa queste parole Amory B. Lovins, uno degli autori assieme a L. Hunter Lovins e Paul Hawken per spiegare cos’è la loro idea che sta dietro a questa rivisitazione di uno dei parametri storici dell’economia classica.

Nell´economia classica, il capitale rientra tra i tre fattori produttivi, insieme alla terra e al lavoro e fanno parte del capitale tutti gli oggetti fisici strumentali all´attività d´impresa (edifici, macchinari, risorse che vengono utilizzati nell´attività produttiva). La nozione di capitale si è poi ampliata, includendo anche altri fattori e si è cominciato a parlare del capitale finanziario, capitale intellettuale (essenzialmente costituito dai brevetti), capitale umano (personale altamente qualificato ed investimenti aziendali in formazione) e capitale naturale (l´insieme delle risorse naturali ed il loro valore).

Delle diverse forme di capitale citate, l´unica che ha la caratteristica di potersi rigenerare o aumentare il proprio valore senza bisogno dell´intervento umano, è il capitale naturale. L’elemento chiave della teoria su cui si basa il capitalismo naturale è che l’economia sta spostando l’attenzione dalla produttività umana verso la produttività delle risorse. Questo cambiamento è idoneo a una riqualificazione dell’occupazione, a un miglioramento delle condizioni di vita dei più poveri e a una enorme riduzione dell’impatto umano sull’ambiente.

Alla nozione tradizionale di capitale è collegata poi quella di profitto, inteso come guadagno (incremento) in termini monetari, in un determinato periodo temporale. Il capitalismo naturale è invece cosa del tutto differente dal capitalismo tradizionale che ha sempre trascurato il valore monetario delle risorse naturali e dei servizi forniti dagli ecosistemi, senza i quali non sarebbe possibile alcuna attività economica oltre che la vita stessa. Il capitalismo naturale, al contrario, contabilizza le risorse e punta all´efficienza per riuscire a produrre di più con meno. Ridisegna le logiche industriali sulla base di un modello che esclude gli sprechi e minimizza la produzione di rifiuti, punta a sostituire merci con servizi, investe nella protezione e nel proliferare del capitale naturale esistente. Parte dal dato di fatto che senza capitale naturale non c´è vita e dunque nemmeno attività economica. La natura è vista come un enorme fornitrice di servizi, difficilmente sostituibili e completamente gratuiti, quali il ciclo alimentare, la stabilità climatica, la composizione atmosferica, la produttività biologica: in ben pochi casi esistono "servizi" sostitutivi di quelli naturali forniti dall’ecosistema e sono comunque ben poco efficienti.

Il valore di questi "servizi" di ecosistema non viene considerato dall´economia tradizionale e quindi non monetizzato. Una foresta, ad esempio, viene considerata in termini di capitale in rapporto alla vendita del legname, ma non perché contribuisce a trattenere l´acqua e quindi alla difesa del suolo, a stabilizzare il clima o a preservare la biodiversità. Tutti servizi che non fanno parte di un bilancio, perché non viene dato loro un valore economico, salvo quando poi si deve rimediare ai danni: di un alluvione, di una frana, di un ciclone ecc. Quindi bisogna tenere conto del capitale naturale non monetizzato ed utilizzarlo tenendo sempre presente il fatto che si tratta di un valore senza prezzo, che è tra i motivi per cui è cosa praticamente impossibile quantificare un danno ambientale.

Questo modo di vedere le cose segue non tanto la logica dell´economia che guarda alla salvaguardia dell’ambiente e che considera quindi l’ambiente estraneo alla produzione e un costo aggiuntivo da mettere in bilancio, ma quella dell´economia ecologica che considera l´ambiente come l’elemento chiave che contiene, sostiene e rifornisce l´economia. In questo caso è l´economia stessa ad essere quindi dipendente dall´ambiente. Questa nuova forma di rivisitare l’economia, il capitalismo naturale, si basa su quattro principi strettamente collegati fra loro e con la caratteristica di rinforzarsi a vicenda; la loro applicazione potrebbe portare considerevoli guadagni persino oggi, in un´economia in cui questo capitale è valutato zero.

Tutti principi sostenuti nel libro da moltissimi esempi e aneddoti, che danno idea della possibilità (volendo) di attuare sin da subito una economia ecologica, con la garanzia di profitto. Il primo principio è quello di utilizzare le risorse in modo da 10 a 100 volte più produttivo. Aumentare cioè al massimo l’efficienza sull’energia e sulla materia necessarie per la produzione. Un principio questo che deriva dalla valutazione che soltanto l´1% delle risorse utilizzate attualmente confluisce in beni duraturi. (Un elemento che già era stato ben evidenziato nel libro degli stessi autori Fattore 4. Come ridurre l’impatto ambientale moltiplicando per quattro l’efficienza).

Ma senza un completo ripensamento della struttura e dei benefici del sistema commerciale, la semplice eco-efficienza può rivelarsi un disastro per l’ambiente. Infatti, l’efficienza può (come già avviene) essere travolta da una sempre maggior massa produttiva sbagliata in tutte le sue componenti: prodotti, processi, scale e modalità di distribuzione. Per riconciliare gli obiettivi ecologici con quelli economici non basta quindi l’eco-efficienza, bisogna aggiungere altri elementi, interdipendenti e sinergici e solo la loro combinazione può sviluppare al meglio l’ipotesi del capitalismo naturale.

Il secondo caposaldo del Capitalismo Naturale è quindi ridisegnare la produzione seguendo "linee biologiche", con cicli chiusi senza sprechi e senza tossicità. Ciò riduce la pressione sui sistemi naturali, rende i prodotti di scarto utilizzabili per vantaggiosi processi di riutilizzazione e, generalmente, permette di ottenere prodotti migliori a costi più bassi. Il terzo principio è quello di vendere un servizio, piuttosto che un prodotto. Questo porta, nell´interesse di clienti e fornitori, a fare di più, meglio e senza sprechi.

L’ultimo principio riguarda le forme d’investimento. Che evidentemente saranno finalizzate a re-investire i profitti nel modo più redditizio, cioè nel ripristinare, sostenere ed espandere il capitale naturale. Con ciò s’intende creare più abbondanti e durature riserve biologiche e "servizi di ecosistema". Si può produrre più cibo, ad esempio, con migliori profitti e minori rischi imitando il funzionamento dell´ecosistema piuttosto che trattando il suolo con prodotti inquinanti.A corollario della validità del capitalismo naturale, c’è poi anche il fatto che può contribuire ad aumentare l’occupazione, a migliorarne la qualità, la sicurezza e il livello di soddisfazione sul lavoro. Le aziende che abbattono gli sprechi possono offrire più lavoro (e di migliore qualità) ad un maggior numero di persone; i paesi che sposteranno la tassazione dal lavoro e dal reddito agli sprechi e all´inquinamento avranno bisogno di minori entrate per porre riparo ai danni causati all´ambiente e alla salute della popolazione e così via.

Secondo gli autori il capitalismo naturale incorporerà il capitalismo industriale nel suo nuovo paradigma come il capitalismo industriale incorporò a sua volta l´economia agricola. Integrerà obiettivi ecologici ed economici ricompensando scelte ed aziende che sapranno raggiungerli senza porli in conflitto. Le compagnie vincenti prenderanno i loro valori dai clienti, i loro progetti dalla natura... Le tradizionali regolamentazioni per l´ambiente diverranno un pittoresco anacronismo poiché le aziende che ancora ne avranno bisogno saranno costrette a spendere molto per produrre cose che nessuno comprerà.

Sembra di leggere il libro dei sogni eppure gli esempi che compaiono nel libro, che cerca di tenere assieme teoria e esperienze, indicano che sono realtà che già esistono e che hanno già ottenendo vantaggi sbalorditivi in termini di confronto con la concorrenza e potenziamento dei profitti a breve termine. Un libro che nell’intenzione degli autori è rivolto direttamente alle imprese, perché convinti che siamo di fronte «ad un cambiamento radicale del mondo degli affari e che le aziende incapaci di rendersene conto ne pagheranno le conseguenze. Quindi non ci rivolgiamo a esse supplicandole di aiutare a rendere il mondo migliore con comportamenti ambientalmente responsabili. (…)questo libro porta esempi e riferimenti a realtà di migliore produttività delle risorse che non solo si stanno dimostrando possibili, ma che sempre più appaiono inevitabili».

Certo è difficile credere (e sono gli stessi autori a prevedere una simile critica) che il mercato da solo sia capace di orientare il proprio modo di fare capitale seguendo questi principi solo perché il tempo è maturo per farlo. «È come un treno pronto a partire - scrivono gli autori - al treno non importa chi c’è a bordo, né se ha pagato il biglietto. Il treno parte, e oggi è abbastanza evidente che se la tale azienda o la tale istituzione non se ne accorgono, perderanno competitività. Se perdono il treno ne guadagneranno un’immagine negativa, di aziende “distratte”, se non irresponsabili». Ma è abbastanza difficile credere che basti questo per convincerle.

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