[04/04/2008] Comunicati

L´ambientalismo del fare sostenibile

LIVORNO. Un disastro. Non si debbono usare mezze misure per definire quello che è stato fatto nel Mugello a causa dei lavori della Tav. Anche se il processo è in corso, la requisitoria del pubblico ministero di ieri è obiettivamente da brividi: 741 milioni di danni ambientali contestati. L’equilibrio idrogeologico di un territorio sconquassato con 57 chilometri di corsi d’acqua prosciugati. Siamo di fronte alla quintessenza di come si “fa male”. Di come insomma in Italia non si riesca (quasi) mai a portare a termine un’opera senza combinarne più di Bertoldo. Ritardi stratosferici, sprechi, danni ambientali, costi fuori dal mondo il tutto anche quando l’opera avrebbe, ambientalmente parlando, una ratio, sia pure discutibile e discussa. In generale, sia chiaro, costruire ferrovie è cosa indispensabile se si vogliono ridurre gli impatti da circolazione di mezzi su strada. Nessun benaltrismo, o ma-anchismo o nymbismo o pymbismo: per fare le cose c’è (ci sarebbe) solo un criterio direttore da seguire, ovvero quello di “fare bene” rispettando la legge, secondo il principio della sostenibilità ambientale e sociale (sicurezza nei cantieri ad esempio).

Ma qui, dove il rigore scientifico (contabilità ambientale), sarebbe dunque indispensabile e consentirebbe di agire non in modo disastroso e su questo dovrebbe essere combattuta una forte battaglia, nasce invece la sterile polemica dell’ambientalismo del fare, di quello del non fare, che prima era più semplicemente degli ambientalisti del sì e di quelli del no. E l’esempio arriva oggi da quanto scrive sul Manifesto Paolo Cacciari, che accusa Legambiente di aver regalato la trovata dell’«ambientalismo del fare» al Pd, mentre il Pd accusa "l´ambientalismo del non fare".

Spogliando la polemica da ogni veste politica, la riflessione di Cacciari secondo la quale “Ragionando per assurdo anche un carro armato Leopard può ottenere un certificato standard di eco-compatibilità (basta installare una marmitta catalitica, usare vernici atossiche, cuscinetti fonoassorbenti..)» più che assurdo o un ‘paradosso ma non troppo’ come dice lo stesso Cacciari, ci pare proprio una forzatura inutile. Lo stesso autore dell’intervento si risponde infatti in parte da solo successivamente spiegando che l’impatto ambientale deve poter contemplare la opzione ‘do no nothing’. Se dunque - come direbbe non “l’ambientalismo del fare” o “del non fare” ma la logica dettata dalla ragione - davanti ad un progetto si assumesse come criterio direttore quello della sostenibilità misurato esattamente come si misura l´occupazione o il cash flow, forse si avrebbero discussioni meno contrappostamente ideologiche.

Il punto è che la valutazione deve essere fatta complessivamente e in base ad una scala di priorità – e ci pare così banale che non vorremmo neppure più scrivere di queste cose – perché un impianto di compostaggio difficilmente emetterà profumo di rose, ma se si vuole raccogliere i rifiuti organici per poi trasformarli in ammendante una soluzione impiantistica efficace bisogna trovarla per forza. Una pala eolica potrà non essere bella per qualcuno e bella per altri, ma il criterio non può essere solo questo e neanche può essere il principale. Così la Tav può essere una strategia utile per ridurre il traffico di auto e camion, ma certamente non costruendola come si è fatto nel Mugello. Bisogna accettare il fatto che niente è a impatto zero e che si agisce ovunque entro l´orizzonte della riduzione del danno e quindi dotarsi degli strumenti per misurarlo: questa è il nodo. Perché non mancano certo le leggi in Italia mancano indicatori e prassi corrette. Come si misura la sostenibilità di un progetto? La Via e la Vas, senza una contabilità ambientale sono strumenti funzionali e funzionanti? Come si impone quel rigore nel fare le cose che se non applicato rendono sbagliate anche quelle giuste? Come ha già detto qualcuno, è l´assenza di questo responsabile rigore che fa dell’Italia lo Stato con la retromarcia in più d’Europa. Chiudiamo con una battuta: Cacciari termina il suo intervento dicendo che «Del resto, dove sta scritto che debbano essere proprio gli ambientalisti a cambiare il mondo?». Da nessuna parte, rispondiamo noi, ma neanche sta scritto da qualche parte il contrario! A chi piace "conservarlo" così, questo mondo, si accomodi pure. Ma non è il nostro caso.

Torna all'archivio