[10/04/2008] Comunicati

Nader, Al Gore e Kyoto

LIVORNO. La dichiarazione rilasciata da Franceschini (vedi La Repubblica di domenica 6 aprile) secondo la quale i Verdi americani sono responsabili di aver fatto perdere ad Al Gore le elezioni presidenziali americane del 2000, è sicuramente un’opinione politica e credere che poi le cose sarebbero andate in modo diverso è più che legittimo, ma affermare che se le cose fossero andate in modo diverso gli Usa avrebbero approvato il protocollo di Kyoto, e non fatto la guerra in Iraq, è una vera e propria patacca.

Qualsiasi osservatore storico che si occuperà delle elezioni americane del 2000 a distanza di trenta o quaranta anni non concluderà che queste elezioni siano significative per la posizione dei Verdi, ma perché un presidente è stato eletto, nonostante che quello arrivato secondo abbia avuto più voti (ma non è la prima volta), e che in Florida, dove la differenza di voto era nell’ordine del centinaio, il sospetto di brogli elettorali è molto alto. Insomma più una riflessione sui limiti concreti della democrazia americana. Il resto mi pare paccottiglia.

Nel 2000, quando si svolsero le elezioni americane, vi erano sicuramente differenze tra il candidato Al Gore e il candidato Bush. Ma queste non erano così significative rispetto alle cose che andiamo discutendo: la guerra in Iraq e il protocollo di Kyoto.

Mi soffermo incidentalmente su questo primo aspetto perché pochi ricordano oggi che il Nobel per la pace fu uno dei sostenitori della guerra contro Saddam del 1990 (blood for oil) e ruppe con le posizioni del partito democratico pur di appoggiare Bush senior. Nel 2000 Al Gore veniva considerato molto più interventista di Bush junior. Eppure per molti è assodato oggi che se Al Gore avesse vinto le elezioni si sarebbero avute meno guerre perché ha dichiarato di essere contrario alla guerra in Iraq. La storia non funziona così, e la sua ricostruzione non può essere un semplice processo ideologico a posteriori. Tutti i commentatori politici all’epoca erano concordi nel dire che il candidato Al Gore, forse anche sulla base della sua esperienza di Vice Presidente, usava la politica estera e l’interventismo americano (gli interventi fatti, come i Balcani e quelli ancora da fare) per cercare di convincere gli elettori che era più affidabile di Bush. Come poi sono andate le cose e come potevano andare è altro.

Ma è sul protocollo di Kyoto che la ricostruzione di Franceschini non convince:

1) Non è vero che fu l’amministrazione Bush G W II a non aderire al protocollo ma quella di Clinton. La delegazione americana che partecipa alla stesura del protocollo di Kyoto 1997 è guidata dal Vice Presidente degli Stati Uniti, il quale, verosimilmente per come lo conosciamo, ha contribuito alla stesura del protocollo. Il problema è che quando torna in patria e chiede la sottoscrizione del protocollo la cosa non arriva neanche al Congresso per la contrarietà dei repubblicani (quasi all’unanimità) e dei democratici (spaccati). C’è differenza tra i due partiti ma non è vero che la differenza sia così marcata. Si dice che sia lo stesso Clinton a chiedergli di lasciar perdere. Ricordo che l’Italia aderisce al protocollo nel lontano 1998.

2) Non è vero che se Al Gore avesse vinto le elezioni il protocollo di Kyoto sarebbe stato approvato (almeno nella legislatura 2000-2004) anche perché i democratici erano in minoranza al Congresso e i repubblicani, che invece hanno la maggioranza di questa assemblea fino alle elezioni di mid-term del 2006, erano (e la gran parte di loro resta tutt’ora) contrari al protocollo. L’opinione pubblica americana cambia orientamento su questo argomento con Kathrina l’urgano che sconvolse la Luisiana e inondò New Orleans, ma dubito che la maggioranza di quelli che votano esprimano il loro voto pensando a questa questione. Il modello energetico americano è poco diverso da quello australiano, ma in Australia i laburisti hanno vinto anche perché chiedevano l’applicazione del protocollo di Kyoto, in America non mi pare che il Partito Democratico abbia deciso ancora di metterlo nel proprio programma elettorale. Sapremo quello che pensa ad agosto alla convention.

3) Di sicuro nella campagna elettorale del 2000 l’unico che parlava di protocollo di Kyoto è stato Ralph Neder. Ho riletto in questi giorni le motivazioni con le quali il Washington Post ed il New York Times appoggiarono Al Gore contro Bush e nei quali si parla delle differenze tra i due candidati si fa riferimento ad una maggiore esperienza ed affidabilità del primo, mai ad una valutazione diversa del protocollo di Kyoto. Ossia nel 2000 agli americani del Protocollo di Kyoto ne importava molto poco e ancora oggi non è chiarissimo se la maggioranza sia a suo favore,

Con questo avrei detto tutto tranne che la questione di sostanza che è la riflessione su Al Gore, ossia su un ambientalista che si confronta con la politica. Tutti sanno che Al Gore pensava (e pensa) che il protocollo di Kyoto fosse un accordo moderato e insufficiente, ma lui lavora per approvarlo, ma è proprio in America e nel suo governo che incontri i maggiori ostacoli. Tutti sanno che se Al Gore avesse dichiarato di essere favorevole al Protocollo di Kyoto i Verdi avrebbero avuto meno voti e forse non avrebbero neanche appoggiato Nader. Ma tutti sanno anche che se si fosse dichiarato a favore del Protocollo di Kyoto non sarebbe stato il candidato presidente del Partito Democratico. Tutto sommato l’Al Gore che preferiamo non è quello che si candida a Presidente degli Stati Uniti, ma è quello che vince il Nobel e che alla convenzione democratica di Agosto dirà che il prossimo candidato democratico alla Presidenza può vincere le elezioni se si impegna ad applicare il Protocollo di Kyoto e a ridurre le emissioni di gas climalteranti.

PS: Passiamo dalle questioni serie a quelle sfiziose: l’Italia ben prima del 2000 ha aderito al Protocollo di Kyoto con l’impegno di ridurre del 6% le sue emissioni di gas climalteranti rispetto al 1990. Ma come direbbe Paola Cortellesi: “Sicuri? Riparliamone!”. Quando andasse bene nel 2012 (se non arriva la grande recessione) avremo un aumento di emissioni del 10%, e in tanti parlano del 12%. Più vicino di quel che si dice al risultato conseguito nel frattempo negli Usa. Di questo si dovrebbe parlare in campagna elettorale.

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