[10/04/2008] Comunicati

Turboliberismo, rivolte del pane e... zerovirgola

LIVORNO. Sale di nuovo il prezzo del petrolio, sale il prezzo delle materie prime e salgono i prezzi dei generi alimentari primari, con riso e mais che hanno raggiunto ieri i loro record storici. Ormai siamo all’allarme mondiale per i rincari dei prodotti agricoli e quindi del cibo e la Banca mondiale avverte che questa non sarà una crisi passeggera, che cresceranno la fame e le tensioni sociali e che è necessario un intervento di tutti i paesi per scongiurare il peggio.

Quella che invece si arresta è la crescita economica globale, tanto che il World economic outlook del Fondo monetario internazionale parla ormai apertamente di rischio di recessione globale. Con cifre diverse nelle differenti aree del pianeta, che interessano in maniera più contenuta i paesi emergenti (che sono però quelli che soffrono di più degli aumenti dei generi alimentari) e colpiscono invece in via prioritaria le economie occidentali, Usa in testa area dell’euro a seguire: ma comunque sia sempre di recessione si tratta. Lo stesso Fmi, che avverte che la fonte principale di rischio proviene dalla crisi dei mercati finanziari, richiama la necessità che per farvi fronte sia necessario l’intervento di copertura con denaro pubblico da parte dei Governi. A loro volta sempre più impegnati nel quotidiano a sedare le rivolte per il pane lo zucchero e la farina, dalla Russia ad Haiti sino alla Filippine; o a frenare le esportazioni di generi alimentari per garantire la sussistenza interna, come in Argentina o in India; o a far pattugliare le piantagioni di riso per evitare furti come in Thailandia.

Le dinamiche economiche classiche sembrano quindi giunte ormai al deragliamento: il turboliberismo entra in crisi e chiede ossigeno ai governi per evitare di andare definitivamente a fondo. E quando si arriva alle rivolte del pane c’è da chiedersi davvero quanto lontano sia ancora il baratro.

Il problema ormai non sembra essere nemmeno più quello di impostare politiche di redistribuzione per raggiungere il principale tra i Millennium goals che è quello di dimezzare entro il 2015 la percentuale di popolazione mondiale che vive con meno di un dollaro al giorno, cioè quello di ridurre la percentuale degli affamati e di coloro che di fame muoiono. Obiettivo che difficilmente potrà essere raggiunto, stante la situazione attuale e con le previsioni che i prezzi della maggior parte dei prodotti di prima necessità rimarranno elevati almeno sino al 2015 (e anche su queste stime ci sarebbe da andare cauti). Il problema è ora anche quello di come riuscire ad evitare che la crisi economica attuale innescata dalla finanziariazzazione dei mercati, che si ripercuote come un effetto domino sul prezzo delle materie prime, porti a fenomeni di carestie estese e con esse a tensioni sociali, disordini e scontri quali quelli che si stanno verificando in questi giorni in molte parti del pianeta. Ipotesi non troppo remota, considerato anche il fatto che oltre alle speculazioni finanziarie sul prezzo delle materie prime si riflette anche la loro strutturale diminuzione dovuta ad una sempre maggiore crescita della domanda primaria.

Una prova generale, potremo dire, della situazione che dovrà affrontare il pianeta se non si interviene con politiche globali a frenare il surriscaldamento del pianeta e gli effetti climatici ad esso connessi, in altre parole se si rimane inerti di fronte all’evidente crisi dell’attuale modello di sviluppo. Non basterà certo allora per far fronte all’emergenza alimentare che si sta allargando a macchia d’olio, ricostituire un livello minimale di reddito per garantire a coloro che sono stati principalmente colpiti dalla crisi economica di risolvere il problema primario della fame. O meglio, servirà ad arginare la situazione contingente, come l’aumento dei salari per permettere alle fasce più deboli del nostre paese di superare la cosiddetta quarta settimana.

Quello che emerge ormai non più procrastinabile, e i richiami allarmistici degli istituti economici internazionali lo confermano, è un ripensamento complessivo delle dinamiche economiche che hanno guidato e stanno guidando il mondo; e che lo stanno portando, con una accelerazione paurosa, verso il declino sociale e ambientale. Ma da noi ( e non solo), la campagna elettorale, quando va bene si occupa degli zerovirgola in più o in meno del Pil. Quasi ad attestare che la globalizzazione economica e le sue storture siano frutto della maledizione divina.

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