[11/04/2008] Comunicati

La rivolta degli affamati e la nuova governance mondiale del cibo

LIVORNO. Il puzzle velocemente incollato dalla globalizzazione si sta rivelando più complicato e fragile di quanto profetizzavano le vestali del liberismo sfrenato. Gli spiriti animali del mercato, lasciati liberi, hanno occupato e devastato territori che si ritenevano intoccabili, ed ora gli stessi (G7, Banca mondiale , Fondo monetario internazionale, neocon vari….) che li hanno sguinzagliati chiedono l’intervento calmieratore e regolatore di quello "Stato" che si riteneva un ingombro. Ma potrebbe essere già tardi, almeno in quelle tessere del puzzle che stanno saltando spinte dal basso dalle rivolte del riso e del pane, bruciate dalla fiammata dei prezzi alimentari.

La fuga dell’ambasciatore americano ad Haiti, davanti al fumo acre dei copertoni bruciati ed ai machete che tintinnavano troppo vicino ai cancelli dell’ambasciata Usa, è forse il simbolo visibile di quanto sorprenda e impaurisca la rivolta degli affamati del mondo. Ma ancor più preoccupante è quello che può succedere nell’inossidabile Egitto di Mubarak, dove il crollo del regime aprirebbe la strada ai Fratelli musulmani, innescando un effetto domino in quelli che noi chiamiamo regimi arabi moderati e che in realtà, quando va bene, sono "democrazie" autoritarie.

In Africa si assaltano ormai i convogli umanitari dell’Onu, e non solo nel Darfur, e la stessa crisi elettorale dello Zimbabwe non è solo il frutto dell’impopolarità del regime di Mugabe, che ormai non si sostiene più nemmeno con i brogli colossali, ma di una siccità che ha innescato una inflazione che ha spopolato il Paese di manodopera, fatto schizzare l’inflazione a limiti mai visti, portato la fame in quello che era uno dei Paesi più floridi dell’Africa.

I poveri presentano il conto di uno sviluppo ineguale e la disperazione inattesa fa paura, il mercato non ha guarito le piaghe come promesso, non è stato un balsamo miracoloso, ha alzato il Pil e lasciato intatte le sacche di miseria inenarrabile, e i disperati non sono più disposti a pagare se non rimangono nel piatto almeno le briciole. Il mito di più consumi per tutti tramonta nelle strade di Port au Prince, Il Cairo ed Harare, nelle imboscate omicide fuori dai campi profughi dell’Africa orientale, nelle paludi inondate dal mare del Bangladesh, nelle baraccopoli sterminate che si affollano intorno alle metropoli per raccogliere una pagliuzza d’oro di sopravvivenza.

E’ questo che fa dire alla Banca mondiale, nella sua riunione di primavera insieme al Fondo monetario internazionale, che il rialzo dei prezzi alimentari è «una minaccia per i progressi realizzati negli ultimi tempi nella riduzione della povertà e nel riassorbimento della malnutrizione. Questi prezzi rischiano di mantenersi a livelli elevati nel medio termine». Un medio termine che fa la differenza tra la vita e la morte per milioni di persone, spesso deprivante, analfabete, prive dei servizi di base, incapaci di capire i meccanismi di mercato, ma sensibili fino al suicidio ai prezzi che aumentano lontano dagli scintillanti supermercati occidentali. E se la casalinga italiana può togliersi il lusso di mugugnare sull’aumento della confezione di yogurt o di corn-flakes, negli slums di Lagos o di Conakry la mancanza di una tazza di riso è anche la mancanza di futuro.

«La tortura della fame è finita nel calvario dell’obesità», scrive Leone Arsenio nel suo bel libro "Alimentazione, clima ed evoluzione dell’uomo", ma una moltitudine disperata guarda con invidia a quel calvario ed una preoccupata ed ancora striminzita classe media emergente dei Paesi in via di sviluppo teme di dover rinunciare allo strato di adipe che porta intorno alla vita come un trofeo di raggiunto benessere. Le palestre e le diete ipocaloriche rischiano di non arrivare mai tra le strade delle magalopoli del terzo mondo, mentre dai canali satellitari giungono le immagini di uno spreco scintillante, di cani e gatti che mangiano meglio dei bambini delle discariche di Nairobi o di Manila.

Ieri il presidente della Banca mondiale, Robert B. Zoellick (Nella foto), si è presentato alla riunione di New York con in mano un sacchetto di riso per dire che «I poveri subiscono tutti i giorni l’impatto del rialzo dei prezzi alimentari, soprattutto nelle zone urbane e nei Paesi a basso reddito. In alcuni Paesi, i progressi realizzati nella lotta sul fronte della riduzione della povertà rischiano oggi di tornare indietro. Noialtri membri della comunità internazionale dobbiamo riunire le nostre forze non solo per fornire un appoggio immediato, ma per aiutare i Paesi a definire misure e politiche in vista di ridurre l’impatto di questo stato di fatto, per il quale, nel mondo, sono i più vulnerabili».

La nota di orientamento presentata dalla Banca mondiale, "Rising Food Prices: Policy Options and World Bank Response", sottolinea che il prezzo del grano a febbraio 2008 era cresciuto del 181% in tre anni, e il prezzo dei generi alimentari dell’83 % e non esiste nessuna speranza che i prezzi agricoli calino tra il 2008 e il 2009, rimanendo nella maggior parte dei casi superiori ai livelli del 2004 almeno fino al 2015. Ci guadagneranno probabilmente i contadini dei Paesi già sviluppati o quelli che hanno a disposizione terre fertili (con un probabile impatto sulle foreste), ma la situazione per i poveri si aggraverà ancora e in Paesi come lo Yemen, in un anno, sono già stati annullati tutti i progressi fatti nel campo della lotta alla povertà tra il 1998 e il 2005.
«I poveri non fanno solamente fronte ad un rialzo dei prezzi alimentari, ma anche a quello dei costi dell’energia, e questa è una combinazione di fattori preoccupante – ha detto Danny Leipziger, vicepresidente della Bm per la riduzione della povertà e la gestione economica – Delle risposte devono essere date urgentemente a livello politico per proteggere i poveri da questo rialzo dei prezzi alimentari, ed esse devono naturalmente concludersi in maniera da favorire una sovracrescita della produzione agricola a lungo termine».

Il fiato bollente delle rivolte del pane sembra sciogliere l’armatura glaciale del libero mercato che doveva proteggere il mondo da tutti i mali, si torna a chiedere da parti insospettate, da parte degli stessi cuochi che ci hanno propinato quella ricetta salvifica, la necessità di una governance mondiale. I ricchi del mondo guardano con preoccupazione alla brulicante disperazione dei poveri che batte alle porte, scardinando perfino le blindate e rassicuranti televisioni occidentali, stracciando l’immagine patinata del "migliore dei mondi possibili", innescando razzismo e xenofobia che traboccano senza più vergogna anche nella campagna elettorale italiana. Speriamo solo che non sia troppo tardi, che la nuova ricetta sia più commestibile e che i tavoli del ristorante mondiale siano aperti a tutti, o che almeno ci sia un posticino in cucina per gli scarti che di solito toccano al gatto di casa.

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