[11/04/2008] Trasporti

Scordarsi le rotaie verso casa: la cura del ferro in Toscana

FIRENZE. Intermodalità. Scambi ferro-ferro. Integrazione delle linee, dei servizi, degli Enti, delle normative e dei piani programmatici. Aumento velocità commerciale. Contrasto delle criticità tramite analisi congiunta e multicriteria. La strada ferrata, messa incautamente in un angolo delle politiche di mobilità con l’esplosione del sistema autostradale e aeroportuale, è tornata prepotentemente d’attualità in conseguenza del riscaldamento climatico e della crisi energetica, che hanno posto fine al tempo dei dubbi, e aperta l’era delle certezze, e delle relative scelte (obbligate) in direzione di una mobilità sostenibile.

Ma ora va resa (ancor più) conveniente per l’utenza, attraente per gli investitori pubblici e privati, efficiente sul piano economico e ambientale. E ancor più integrata: e a questo dovrà puntare il primo programma del Tpl integrato in Toscana, che nelle intenzioni della Regione e dell’assessore Conti dovrà vedere la luce (perlomeno a livello di bozza) entro inizio 2009. Il primo interscambio ferro-ferro in Toscana avverrà presso la nuova stazione di porta al Prato (ex-stazione Leopolda) a Firenze, attualmente da Realizzare accanto all’attuale centro espositivo: da lì partirà una nuova linea che connetterà Firenze con Empoli-Pisa-Siena-Livorno, la prima linea realizzata espressamente al servizio del Tpl integrato: il primo posto dove sorgerà una stazione costruita ad hoc per scendere dalla tramvia e passare sul treno, in Toscana.

Più che di nuova linea, dobbiamo parlare della riattivazione di uno dei più antichi collegamenti ferroviari italiani: dalla stazione Leopolda, costruita nel 1848 pochi mesi dopo l’altra stazione di Firenze, la Maria Antonia (oggi Smn), partiva la linea Firenze-Pisa, che seguiva di sole nove anni la Napoli-Portici, prima linea ferroviaria italiana (1839). Sul percorso della linea Leopolda sono state poi costruite alcune direttrici viarie molto importanti (zona via B.Marcello): la demolizione della tratta comportò lo sviluppo della stazione di Rifredi, che fu tra i fattori di evoluzione economica e sociale dei quartieri Ovest della città di Firenze (Rifredi e Novoli) nel primo novecento. In qualche modo, l’intero sviluppo urbanistico della parte di Firenze a nord dell’Arno si è orientato, fin dal piano Poggi per Firenze capitale (1865), intorno alle infrastrutture ferroviarie, ed in particolare intorno alla linea Leopolda, che fu demolita nel 1927. Erano tempi diversi: a qualcuno la locomotiva sembrava un mostro strano (ma che l’uomo dominava con il pensiero e con la mano), ad altri appariva fulgido esempio di progresso infrastrutturale e sociale.

Ma poi arrivarono le quattro ruote, e l’asfalto, e la gomma vulcanizzata, che fecero precipitare l’uomo nell’illusione di potersi muovere senza sforzo, e di viaggiare senza nemmeno il fastidio di doversi recare alla stazione. Ma che era un’illusione lo si è capito negli anni ’80 del XX secolo, davanti alla costante congestione del traffico che portò alle prime politiche di riduzione dell’uso del mezzo privato, e negli anni ’90, a causa dei primi allarmi sul ruolo antropico nel riscaldamento del sistema climatico. E intanto la stazione Leopolda si intristiva, abbandonata al suo destino di capannone (poi riconvertito in centro espositivo), senza neanche una targa commemorativa che le rendesse il merito di aver aperto le porte della mobilità su ferro in Toscana. Ed è dalla Leopolda che si ripartirà.

Colate di cemento hanno ricoperto non solo valli, laghi, fiumi, boschi, prati, nel corso del secolo passato: hanno anche ricoperto, e nascosto alla vista, quelle infrastrutture di mobilità che ci avevano condotto un tempo nell’era industriale. Senza nessuna riconoscenza, abbiamo sepolto sotto il bitume il ferro delle rotaie, ignorando testardamente la dispersione energetica causata dall’attrito e cercando di dominare, oltre alla natura, anche le stesse leggi termodinamiche che la regolano. Ma cento anni dopo, solo cento anni dopo, abbiamo compreso quanto quel ferro fosse lungimirante, quanto più sostenibile e meno inquinante fosse la mobilità su rotaia, rispetto a quella su carreggiata. E le rotaie non sono scomparse: sono lì, nascoste sotto una coltre di asfalto, come strato archeologico che, per una volta, si può restaurare e riutilizzare, invece di destinare all’eterna contemplazione. Ce l’abbiamo ancora sotto casa, pronte all’uso: è il momento di ricordarsene. O di ricordarsi che avevamo imparato, prima di disimparare.

Torna all'archivio