[14/04/2008] Energia

Nuove e vecchie energie e il ruolo delle istituzioni: i biocarburanti

PISA. Ai biocombustibili – considerati come ha titolato un quotidiano ‘il lato oscuro dell’energia’ - è stata dedicata tempo fa una ricerca da Rainer Zah e dai suoi collaboratori del gruppo ‘Life Cycle Assessment &Modeling dell’Empa di san Gallo in Svizzera e commentata sulla rivista americana Science. Gli studiosi svizzeri ha scritto Pietro Greco su l’Unità- hanno esaminato bel 26 diversi biocarburanti in uso in tutto il mondo prendendo in esame due parametri connessi ala loro produzione ed al loro utilizzo; le emissioni di gas serra e l’impatto ambientale globale’. Il risultato è quanto meno inatteso. E non solo e non tanto perché per quattro o cinque dei 26 biocarburanti esaminati il ciclo delle emissioni di anidride carbonica risulta non solo negativo, ma addirittura superiore a quelli di un combustibile fossile.. Ma anche e soprattutto perché per 12 di essi ( oltre il 46%) i costi ambientali complessivi risultano superiori a quelli del metano, petrolio e persino carbone. E se essi consentono di abbattere in media , il 30% delle emissioni di gas serra a parità di utilizzo coi combustibili fossili per la loro coltivazione paghiamo un costo ambientale in termini di esaurimento delle risorse, di salute umana, di equilibrio degli ecosistemi che, nella metà dei casi, è paragonabile a quello pagato con l’uso dei combustibili fossili. Non esistono pasti gratis in natura – è il commento appropriato -. di Greco.

Ed è bene prenderne atto subito con molto realismo e buon senso per evitare di fare facili cose che non lo sono affatto. Se dopo questa rapidissima sbirciata a quel che avviene e succede intorno a noi riprendiamo il nostro posto all’interno delle aree protette dal nostro oblò abbiamo potuto sicuramente avere qualche conferma ma anche qualche inattesa sollecitazione ad aggiustare alla svelta il tiro.

La conferma sta innanzitutto nella chiara connessione tra problemi e situazioni che se dovessero continuare a restare scollegati difficilmente potranno essere efficacemente affrontati e risolti. Di inatteso c’è il fatto che anche le soluzioni o le ipotesi alternative prospettate presentano ‘effetti collaterali’ e rischi seri e talvolta del tutto imprevisti che inducono a riconsiderare attentamente anche scelte date in più d’un caso per scontate. E tra queste -e certamente non ultima- vi è quella dei costi. Qui le previsioni abbondano di zeri al punto che in più d’un caso sono state già accantonate o comunque rimesse in discussione.

Se l’aumento di 2 gradi nella temperatura avrebbe costi alti ma sopportabili non sarebbe così nel caso di un aumento di 4-5 gradi che inciderebbe per il 20% sul PIL. Tra le conferme che abbiamo potuto avere da questa veloce panoramica dal nostro oblò una in particolare viene incontro a quegli interrogativi che ci siamo posti nel corso del libro sul ruolo dei parchi e al loro rapporto con le vicende del cambiamento climatico. La conferma è che nessuna di queste questioni e della loro problematicità dovuta anche a quegli effetti collaterali sgradevoli e insostenibili ai quali abbiamo fatto cenno riguarda aspetti estranei alla gestione e alle finalità delle aree protette. Evitare gli effetti della produzione dei biocarburanti sull’agricoltura, o combattere la desertificazione tutelando il ciclo delle acque, proteggere la biodiversità e con essa il paesaggio sono tutti senza eccezione alcuna aspetti con i quali debbono misurarsi le aree protette nei loro piani, progetti, programmi.
Non solo, ma debbono farlo non separando i tanti anelli che sono appunto intrecciati e connessi tra di loro e perciò vanno affrontati unitariamente, in maniera integrata.

E la ragione è – o dovrebbe essere - di palmare evidenza solo che si consideri che le aree protette chi più chi meno operano generalmente in territori e ambienti ecosistemici pregiati che rischierebbero di più degli altri territori se certi interventi non avessero questo carattere non settoriale. L’eolico non può trascurare il paesaggio, l’uso dei terreni agricoli le esigenze di una agricoltura biologica e di qualità e al tempo stesso di non spreco dell’uso dell’acqua. Non sono in genere a almeno non sempre problemi nuovi, nuove, più gravi e urgenti sono le risposte che richiede la situazione.

Ma vi è anche una ragione più specifica e per più versi nuova a rendere le aree protette così strategicamente importanti ben evidenziata da Antonio Zecca e Christian Zulberti su Limes e cioè che dall’era della centralizzazione stiamo entrando nell’era della decentralizzazione. ‘Il criterio per scegliere quanto centralizzare e quanto decentrare sarà semplicemente basato sulla minimizzazione dei consumi energetici dell’intera società. Pensandoci su un momento vi renderete conto che la maggior parte delle centralizzazioni fatte negli ultimi decenni sono state realizzate nell’ipotesi che l’energia costi zero e che sia un bene da sprecare.
Le energie rinnovabili sono in gran parte distribuite e quindi decentralizzate. Ma anche la produzione di energia elettrica da fonti fossili si può fare in molti casi in maniere decentrate con miglioramenti di efficienza’.

La citazione è ampiamente giustifica dal fatto che in un epoca in cui tanti fenomeni sono caratterizzati da una crescente delocalizzazione e globalizzazione la vicenda energetica riconduce - o può ricondurre - ad una valorizzazione delle dimensioni locali nel senso che diversi ‘luoghi’ oggi penalizzati nella loro identità a vantaggio di tanti ‘non luoghi’ possano ritrovare anche per questa via una loro precisa e non marginale funzione. E ciò proprio a partire da quei luoghi che una più precisa identità hanno saputo conservarla e che oggi possono mettere al servizio di una nuova politica energetica. Mai forse come in questa fase così travagliata i parchi possono tornare ad essere a pieno titolo quei laboratori di cui parlava Valerio Giacomini.

Torna all'archivio