[15/04/2008] Monitor di Enrico Falqui

Hubris

Il declino di molte antiche civiltà è legato al deterioramento del suolo, ma sono pochi i politici che tengono presente questo insegnamento della storia.
Ninive, grandiosa capitale dell’impero Assiro sulle rive del Tigri, nell’antica Mesopotamia, raggiunse l’apice della sua gloria più di sei secoli avanti Cristo.
Era una città grandiosa, estesa su oltre 15 kmq, dove si pensa abitassero circa 120.000 persone, una massa di popolazione inusitata per l’epoca.
Quando nel 1840, Austen Layard, pioniere inglese dell’archeologia, trovò i suoi resti scoprì un paesaggio profondamente diverso da quello formato dagli antichi Giardini pensili, una delle cosiddette sette meraviglie dell’Antichità.

Pochi anni fa si è scoperto, da parte di numerose spedizioni di archeologi, che il declino delle risorse naturali del territorio di Ninive avvenne, all’inizio, a causa della costante deforestazione delle colline e delle montagne, che ridusse l’approvvigionamento idrico del territorio. Successivamente, per garantire l’enorme approvvigionamento idrico che Ninive richiedeva ogni giorno, si utilizzò un antichissimo sistema irriguo (vecchio di 4000 anni) che, durante l’irrigazione dei suoli, fissava il sale nel terreno.
Ciò provocò il rapido deperimento della produttività dei suoli e la sostituzione, da parte degli agricoltori, delle specie originarie di orzo (all’epoca alimento fondamentale delle popolazioni) con varietà più resistenti al sale contenuto nel terreno.

Con un’impressionante sequenza di errori, tali popolazioni ridussero la quantità di suoli rurali coltivati a orzo, non essendoci acqua sufficiente per provvedere all’irrigazione. La penuria di cibo espose le popolazioni che abitavano Ninive prima all’emigrazione di quote crescenti di abitanti, poi a dover soccombere alle invasioni di popolazioni ostili che ebbero facilmente ragione dei pochi e malnutriti superstiti dell’antica civiltà Mesopotamica.

Rudyard Kypling narra in versi la caduta di Ninive (nel poema “Recessional”), premettendo nell’introduzione una sorta di “anatema” contro l’arroganza del potere: “…Le civiltà antiche erano, non solo in Mesopotamia, estremamente gerarchizzate e governate con grande presunzione…. Perciò non sorprenderà che la classe dominante di quella società non avesse altra preoccupazione che mantenere la propria posizione sociale, impegnandosi in guerre di conquista e difesa o in imprese di corto respiro, incurante della progressiva decadenza dell’ambiente che invece minava alla base la sua stessa civiltà (...)
Il termine greco “hubris” descrive perfettamente l’insieme di smisurato orgoglio, arroganza e presunzione che gli annali reali e i bassorilievi di Ninive ci hanno trasmesso (...)
Ovviamente la “hubris” non è limitata ai tempi antichi, né alla zona compresa tra Tigri ed Eufrate, né al periodo d’oro dell’impero britannico.”

Già, pare anche a me, la “hubris” non è limitata solo ai tempi antichi…, caro Kypling.

L’agricoltura oggi consuma quasi due terzi dell’acqua prelevata dai fiumi, laghi e acquiferi in tutto il mondo. L’irrigazione interviene solo sul 16% della superficie coltivata del pianeta (di cui tre quarti nei paesi del terzo mondo), ma fornisce il 40% dei prodotti alimentari. Negli Stati Uniti, circa un quarto dell’acqua che arriva dalle falde per scopi irrigui è in sovrasfruttamento, mentre in Europa il 15% dei suoli presenta apprezzabili o visibili sintomi di dehumificazione, processo propedeutico a quello della desertificazione o aridificazione dei suoli rurali produttivi.

Dal 1945 a oggi, quel processo di inaridimento che ha portato al “suicidio ecologico” la civiltà di Ninive, ha alterato più di un miliardo di ettari, un’area corrispondente più o meno alla Cina e all’India messe insieme; quattro quinti di quest’area appartengono ai Paesi in via di sviluppo, dove i Governi degli Stati sono privi dei capitali necessari a porre rimedio alla situazione e , nel 42% di quei terreni non ci sono nemmeno le riserve idriche necessarie a consentire un rapido recupero.

Poche settimane fa, Josette Sheeran, direttrice del World food programme, ha lanciato al Parlamento europeo, nel corso di un’audizione, un drammatico allarme : “I prezzi alimentari raggiungono un livello tale che quello dell’olio di palma in Africa è ormai al livello del prezzo dei carburanti. Si è scatenata una speculazione sulle materie prime agricole e le derrate alimentari per favorire il mercato dei biocarburanti,che tende a rimpiazzare quello destinato all’alimentazione umana”.

Nel giugno 2007 i costi dei rialzi dei prezzi alimentari hanno raggiunto il 40% nei Paesi del Terzo Mondo e tutto ciò alimenta una nuova carenza alimentare nei paesi poveri, nei quali, dice ancora la coraggiosa Josette Sheeran:”….gli abitanti non hanno perfino la possibilità di acquistare delle derrate, anche se sono disponibili in quantità suffciente; nel frattempo,l’Europa versa ogni anno decine di milioni di euro per gli aiuti alimentari ai paesi poveri e, adesso, dovrà mettere mano alle riserve d’urgenza per adattare i suoi aiuti ai prezzi schizzati verso l’alto.

Le conseguenze di questi rialzi sono arrivati anche sui nostri mercati e sulle nostre tavole europee in questi giorni; ci preoccupiamo degli effetti sociali, in primo luogo, ma speriamo che il fenomeno sia di breve durata, così come accadde negli anni 70 quando, per la prima volta, a causa del primo choc petrolifero, pagammo in modo salato la bolletta elettrica, rimasta pressoché invariata per quasi vent’anni.

Tuttavia, l’aumento dei prezzi degli alimenti non sarà un fenomeno di breve durata, ma anzi è destinato ad avere un costante incremento (proprio come accade per il barile del petrolio), perché fingiamo di non sapere e non vedere quanto accade nei territori dove abitano oltre i due terzi dell’umanità.

Si, caro Kypling, la “hubris” della nostra società è tanto più evidente quanto più ignora una minaccia che riguarda milioni di persone e il futuro benessere dell’intera umanità.

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