[16/04/2008] Urbanistica

Elba: i cubi inertizzati e la bonifica infinita dell’Esaom

PORTOFERRAIO (Livorno). All’Elba è ritornato a galla il caso dei blocchi ammassati nel piazzale dell’Esaom-Cesa, il cantiere navale all’ingresso di Portoferraio, frutto dell’inertizzazione dei fanghi di scavo per realizzare i pontili galleggianti del cantiere, ed una parte dei quali sono anche finiti, “in maniera provvisoria” a formare un parte del grande piazzale sterrato nella vicina località San Giovanni che avrebbe dovuto essere bonificato come i 30mila metri cubi di terra in parte contaminata che formano una collinetta all’interno dell’Area Esaom.

Per gli interventi per l´organizzazione della raccolta, recupero ed innocuizzazione di rifiuti di resulta da attività produttive dell’Esaom Cesa, la regione Toscana aveva stanziato 608.375.000 di euro (il 25% del costo dell’investimento previsto, 2.281.000.000 di lire) attraverso finanziamenti del Regolamento Cee 2081/93 Ob.5/b mis.6.2b. Ma i cubi si sono accumulati all’aperto ed esposti alle intemperie sul grande piazzale dove prima sorgeva la cementeria e Legambiente sollevò anni fa il caso elbano proprio mentre sull’isola si faceva fuoco e fiamme contro l’escavo del porto di Piombino che secondo molti avrebbe prodotto un inquinamento del mare. Dopo intervenne il Corpo forestale dello Stato con uno spettacolare blitz sul piazzale ed un sequestro dei cubi di conglomerato, ma i nastri bianco e rossi si sono prima stinti e poi spariti, e i seimila blocchi da una tonnellata restano li a disgregarsi lentamente.

L’unica cosa accaduta dopo, è la variante al processo di bonifica dell’area presentato alla fine del 2006 e che è stata accolta dalla Conferenza dei servizi alla quale hanno partecipato comune, provincia, regione e Arpat, ma niente ancora si muove concretamente. A risollevare il caso è stato Il Tirreno, ma senza ottenere altro che imbarazzate risposte. «Eppure – sottolinea oggi Legambiente Arcipelago Toscano - L´area Esaom Cesa è identificata con il codice LI051 nell´Anagrafe dei siti con necessità di bonifica o di messa in sicurezza definitiva, Appendice - Parte seconda del Piano Provinciale di gestione delle bonifiche dei siti inquinati del luglio 2003 redatto ai sensi della Legge Regionale n. 25/98. I blocchi conglomerati con materiale fanghi di dragaggio accatastati sul piazzale Esaom, ma anche sul piazzale Enel e al fosso del Riondo, ai sensi del decreto legislativo 152/2007 recante Norme in materie ambientali, costituiscono rifiuti pericolosi. L’articolo 192 del citato testo normativo vieta l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo. Chiunque viola questo divieto, fatta salva l´applicazione della sanzioni previste dagli articoli 255 e 256, “è tenuto a procedere alla rimozione, all´avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull´area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all´esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate. Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa.”».

E gli ambientalisti, che per primi sottolinearono la stranezza di quei cubi accatastati all’aperto nella immediata periferia del capoluogo elbano, ora chiedono che «il problema venga finalmente affrontato e risolto, iniziando dalla reale messa in sicurezza dei depositi “temporanei” e che ognuno si assuma le responsabilità previste dalla legge. L’Elba è una stana isola che trasferisce i suoi problemi in continente e si scandalizza più volentieri di quel che succede altrove che sul proprio territorio, ma quella catasta di cubi frutto di una bonifica di rifiuti pericolosi è troppo evidente per continuare ad essere ancora ignorata».

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