[17/04/2008] Consumo

L´economia leggera e l´ecoefficienza dei flussi di materia

LIVORNO. Quali sono e di quali potranno essere nell’immediato futuro le azioni da intraprendere per promuovere e incrementare l’ecoefficienza, caratterizzata da innovazione, efficienza e competitività, assicurando al tempo stesso una maggiore e migliore occupazione e una riduzione del consumo delle risorse naturali e degli impatti sull’ambiente? A questa domanda cerca di rispondere
il convegno organizzato per domani al Borgo della conoscenza di Rapolano Terme dal gruppo Sdi (sustainability development innovation) in collaborazione con il ministero dell’ambiente, che chiamerà a confronto tutti gli attori che operano sul territorio della provincia di Siena, sia pubblici che privati.

L’efficienza si traduce infatti in ecoefficienza quando l’intero processo di produzione armonizza le istanze ambientali con le esigenze di business, facendoli diventare anziché antitetici, sinergici. Strumento base dell’ ecoefficienza è l’analisi dei flussi di materia e lo studio dei relativi indicatori e metodi contabili, in grado di indirizzare le decisioni e di valutare gli effetti prodotti.

Silvano Falocco, amministratore delegato di Ecosistemi e dirigente dello di Sdi Group, di cui la sua società fa parte, è la mente organizzativa di questo convegno e gli abbiamo chiesto di presentarci i temi e gli obiettivi.

Economia leggera è un titolo ambizioso per chi non è tra gli addetti ai lavori.
«Sì ma è essenziale che si cominci a diffondere il concetto e che si prenda sul serio la riduzione dei flussi di materia e di energia nelle politiche ambientali. E quindi vedere quali strumenti economici si stanno adottando in quella direzione che significa esperienze industriali da una parte e strumenti istituzionali dall’altra.
Altra cosa fondamentale è intervenire direttamente nella programmazione economica utilizzando strumenti quali la contabilità ambientale che sono in grado di dirci qual è il metabolismo industriale e quindi dove intervenire».

Parlare di contabilità ambientale in questo paese, appare impresa abbastanza difficile e soprattutto non si riesce mai a dotarsi degli strumenti necessari per poterla utilizzare.
«Su questo c’è un ottimo lavoro fatto da Istat e una Namea (che sta per National accounts matrix including environmental accounts, ovvero matrice di conti economici nazionali integrata con conti ambientali, ndr) fatta con Irpet, quindi si potrebbe verificare in Toscana, ai fini della programmazione economica, quali sono i settori che contribuiscono tanto all’impatto ambientale per emissioni di Co2 e utilizzo di materie prime e poco invece sul valore aggiunto e sull’occupazione. Questo quadrante potrebbe e dovrebbe essere un settore dell’attività economica incentivato a migliorare. Quindi lo strumento informativo già esiste e queste analisi dovrebbero essere assunte dalla programmazione economica regionale».

Noto però che l’assessore alle attività produttive Brenna non interviene.
«E’ vero ma solo perché era davvero impossibilitato ad esserci. L’interesse c’è e del resto la regione Toscana è una delle poche che potrebbe già intervenire nella programmazione economica inserendo queste analisi e gli strumenti conseguenti. Mentre invece nella maggior parte dei casi, se va bene ci sono piani ma scarsa capacità di attuarli e di incidere sulla programmazione economica. Noi presenteremo uno strumento si chiama Dosape (documento di sostenibilità ambientale per la programmazione economica) che serve proprio a individuare gli strumenti da inserire nella programmazione economica, perché se non si interviene in questo segmento è difficile ottenere risultati importanti».

Ci spiega cos’è il Borgo della conoscenza?
«E’ un progetto per accompagnare istituzioni e imprese nei meccanismi della sostenibilità e verso l’economia leggera che è un cambiamento al pari della rivoluzione industriale. Un passaggio non immediato, che comporta un cambiamento radicale dei nostri modelli di produzione e consumo a favore di un nuovo equilibrio sostenibile tra economia ed ecologia. Per questo serve un investimento nella formazione e nell’apprendimento, enorme. La formazione manageriale non può, infatti, essere fatta nella maniera classica, perché se non si tiene conto dei cambiamenti negli scenari globali, si forma un manager che non saprà tenere conto ad esempio di quanto incide il valore della C02 emessa o quanto pesano i prezzi delle materie prime che scarseggiano nella passività del bilancio, diventa una diseconomia per le imprese. Quando i fattori diventano scarsi c’è un limite alla crescita economica. Quindi è necessario acquisire un modello in cui beni e servizi siano prodotti utilizzando sempre meno input in termini di materiali ed energia, generando, al tempo stesso, sempre meno ricadute negative sull’ambiente in termini di rifiuti e scarti di produzione».

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