[18/04/2008] Rifiuti

Il business delle cave, tra regi decreti e concessioni di pochi centesimi

LIVORNO. Il recupero degli inerti da demolizione e costruzione è una chimera nel nostro paese e per produrre il cemento richiesto dalle imprese edili, si continuano ad aprire cave e l’attività è in costante aumento. Lo descrive bene Legambiente che ha presentato oggi a Ferrara, nell’ambito del Festival della città e del territorio, un dossier che raccoglie tutti i numeri sulla gestione dell’attività estrattiva in Italia. 10 mila le cave abbandonate, 5.725 quelle in funzione; tariffe di concessione ridicole, (addirittura inesistenti al Sud) a fronte di un giro di affari di circa 5 miliardi di euro l’anno per il solo settore degli inerti. Per regolarne la gestione un regio decreto del 1927 e metà delle Regioni senza nemmeno un piano cave, che fissi le quantità estraibili.

La Puglia, con 617 cave attive, è la regione che estrae
di più inerti; la seguono il Veneto (594), la Sicilia (580), la Lombardia (494, che guida anche la classifica delle cave dismesse con 2.543 aree abbandonate) la Sardegna (397), il Piemonte (332) e il Lazio (318). Ma il primo posto per quantità estratta spetta alla Sicilia con oltre 113 milioni di metri cubi nel 2006, con il dato impressionante della provincia di Palermo con più di 57 milioni di metri cubi di calcare estratto. E spicca anche la Provincia di Trento, con oltre 32milioni di metri cubi di inerti cavati.

In Provincia di Livorno invece, sono dieci anni che si preferisce cavare dalle colline di Campiglia, quanto si potrebbe recuperare materiale dai residui di processo della Lucchini: circa 1 milione di tonn/anno. La piattaforma della Tap non è ancora in funzione, la Sales continua a cavare e al materiale che la Lucchini potrebbe vendere e riutilizzare gli vengono messe barriere di ogni tipo.

Nel 2006 sono state consumate quasi 47 milioni di tonnellate di cemento, per una media di 813 chili per ogni cittadino a fronte di una media europea di 625. Tutto questo in assenza di piani cava in ben 10 regioni, con la conseguenza di dare pieno potere discrezionale a chi rilascia le autorizzazioni (e di renderlo vulnerabile nei confronti delle ecomafie del cemento) e con tariffe di concessione che valgono in media pochi centesimi di euro e alimentano invece un mercato che solo per gli inerti vale almeno 5 miliardi l’anno.

«Ridurre il prelievo di cava si può, come dimostrano le esperienze di altri Paesi europei - spiega Edoardo Zanchini, responsabile del settore urbanistica di Legambiente - Quasi il 60% di quanto viene cavato sono inerti, principalmente ghiaia e sabbia e altri materiali per il cemento. Occorre ridurre il prelievo di materiali dal suolo grazie al riciclo degli inerti e rivedere profondamente i canoni di concessione. In molti Paesi europei il riciclo di inerti ha già superato il 90%; l’Italia è solo al 10% ma grazie a macchinari e centri di riciclo più grandi e organizzati può fare un salto di qualità a standard europei».

Per Legambiente è poi necessario definire al più presto un nuovo quadro normativo, mirato a ridurre il consumo di inerti di cava nell’industria delle costruzioni, rafforzare controllo e tutela del territorio, spingere l’innovazione del settore, rivedere il meccanismo di fiscalità. È anche necessario definire per tutto il territorio nazionale alcuni standard minimi relativi alle aree in cui l’attività di cava è vietata ed estendere le procedure di VIA a tutte le richieste di cava, senza limiti di dimensione. Così come è urgente definire i criteri per il recupero delle diverse tipologie di cave dismesse.

Importante per Legambiente l’aspetto legato ai meccanismi di fiscalità.
«Non solo perché è assurdo che il costo del prelievo sia così basso o addirittura pari a zero – conclude Zanchini - ma anche per il costo eccessivo del conferimento in discarica dei rifiuti provenienti dall’edilizia. Grazie a un’attenta incentivazione, occorre favorire il riutilizzo dei materiali di scavo e di demolizione come aggregati riciclati per tutti gli usi compatibili. La prospettiva è quella di una moderna filiera dove, al posto del conferimento in discarica, siano le stesse imprese a gestire il processo di demolizione selettiva e di riciclo dei materiali, che correttamente lavorati possono diventare una eccellente alternativa agli inerti e agli aggregati per il cemento. E’ la strada intrapresa nei principali Paesi europei».

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