[21/04/2008] Parchi

La clonazione e la musealizzazione del vivente

LIVORNO. Ieri La Repubblica, riprendendo un articolo dell’Indipendent, dava la notizia che gli animali in via di estinzione potrebbero essere salvati con la clonazione. I ricercatori della Royal Zoological Society of Scotland hanno detto che sono pronti a fare copie viventi di rinoceronti bianchi, lupi etiopi (Nella foto), licaoni e naturalmente panda giganti, che sembrano refrattari al viagra ed ai film erotici con i quali si cerca di stimolarli all’accoppiamento.

Intanto, mentre alcune delle specie totemiche del pianeta rischiano di rimanere in copia, il Corriere della Sera ci informa che gli animali domestici occidentali hanno aumentato la loro vita media di circa 4 anni, ma patiscono gli acciacchi della vecchiaia, ben compensati da cure veterinarie, buon cibo bilanciato e perché no, un po’ di viagra per tenerli su. Una specie di parodia animale del benessere occidentale, obesità e nevrosi comprese.

Ma quel che più impressione è che la notizia della clonazione del vivente in via di estinzione, a pochi anni dalla reazione orripilata per la clonazione della pecora Dolly, che scatenò una discussione etica e teologica molto forte, sia accettata oggi con toni tra l’ammirato e l’entusiasta. Eppure si tratta della presa d’atto di una sconfitta e dell’uomo che si sostituisce al “creatore” per chi crede ed alla selezione naturale per gli altri (ma in questo caso innaturale), per mantenere in vita specie che non sono state protette nel giardino dell’Eden.

Si tratta però anche, al di là delle questioni etiche e religiose che appartengono alla sensibilità di ognuno (e che sembrano però sempre più intercambiabili a secondo della situazione) della musealizzazione del vivente, dell’incapacità di difenderlo in natura, della resa ad una condizione umana di giardiniere e non di custode del creato, di nicchie museo dove confinare se va bene le specie, della medicalizzazione dell’estinzione di massa.

Davvero il sogno delle pecore elettriche degli androidi di Philip K. Dik (Do Androids Dream of Electric Sheep? (Il cacciatore di androidi pubblicato anche come “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” e “Blade Runner”) sta diventando realtà e l’animale clonato e artificializzato diventa un elemento in più per salvarsi la coscienza, verso un futuro di cani e gatti obesi e vecchi e animali selvatici fotocopia dentro campane di vetro, riproduzioni di quel che era, fantasmi viventi senza passato e con un futuro artificiale, testimoni ignari di quel che era una biodiversità vera, feroce e splendente.

La clonazione delle specie in via di estinzione è solo l’ultimo disperato espediente per non arrendersi alla perdita di vita che l’uomo ha innescato: basta scorrere la lista rossa dell’Iucn per scoprire che il processo di musealizzazione della natura è già avanzato e spesso obbligatorio: 38 specie animali e 28 di piante sono ormai estinte in natura e vivono ormai solo in zoo, aree recintate, acquari ed orti botanici. Tra gli animali ci sono 4 mammiferi, 4 uccelli, un rettile, un anfibio, 13 pesci, un crostaceo, 13 molluschi. Ma anche alcuni grandi mammiferi hanno ormai più esemplari che vivono in cattività che in natura: ci sono più tigri negli zoo e ne parchi privati americani che in India.

Stati Uniti e Polonia sono i due Paesi che ospitano più animali estinti in natura, ma il primato assoluto, in percentuale ogni mille specie presenti nel territorio, è della Repubblica araba Sahrawi occupata dal Marocco, con 4,44, gli Usa sono a 3,52, la Polonia a 3,13, il Paraguay a 3,07, il Messico a 3,03, la Bielorussia a 2,63, il Kuwait a 2,59, l’Uganda a 2,55 e la Tanzania a 2,35.

Il continente con il maggior numero di specie estinte conservate in zoo, acquari e orti botanici è l’Africa, seguita dall’America del nord, poi vengono Asia-pacifico, Sudamerica ed Europa. Una cosa che dovrebbe preoccupare molto l’Italia, che è ancora il Paese europeo con la più grande biodiversità.

Ma è chiaro che la musealizzazione e la clonazione del vivente tendono a “salvare” le specie più vistose e “belle”, le specie “simpatiche” e “preziose”, i totem su cui investire in ricerca ed immagine. Nessuna clonazione e nessuno zoo potranno fermare l’estinzione di massa al lavoro in tutto il mondo grazie all’impatto delle attività umane sugli habitat ed al cambiamenti climatico, nessuno potrà salvare le migliaia di piccole e grandi creature che spariscono spesso prima che i nostri distratti occhi da androidi le abbiano nemmeno scoperte.

Non sarà la clonazione a riallacciare la catena del vivente che stiamo spezzando in molte maglie, ma un uso più attento della natura, un rispetto maggiore per una biodiversità vera , senza cedere alla sua umanizzazione ed alla sua musealizzazione. L’uomo contemplativo dopo l’uomo distruttore è una via di fuga, l’uomo che si contenta di fabbricare copie da mettere nelle caselle di un album dell’estinzione ha già rinunciato alla sua umanità che è fatta di condivisione della rete del vivente di cui, anche se se ne è dimenticato, fa parte integrante.

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