[28/04/2008] Recensioni

La Recensione. Buone pratiche per il governo sostenibile del territorio a cura di Cerrai, Quarto, Signoretta

Far fronte a nuovi compiti di problem solving, grazie allo sviluppo di diverse dimensioni professionali tramite una formazione innovativa che utilizzasse metodologie attive e on line, con un mix fra empowerment e cooperative learning. Era la finalità del progetto che ha avuto come obiettivo quello di fornire, prioritariamente all’interno delle amministrazioni pubbliche, la figura di Agente di sviluppo sostenibile, del quale il testo “Buone pratiche per il governo sostenibile del territorio” rappresenta la tappa al momento conclusiva. L’orizzonte dello sviluppo sostenibile e la strategia delle Agende 21 locali – viene ricordato nel libro a cura di Cerrai, Quarto e Signoretta – hanno fortemente influenzato, in anni recenti, la riflessione culturale e politica dei governi e dei cittadini del mondo e quelle dei paesi dell’Ue in modo particolare. Come noto la strategia delle Agende 21 locali (carta di Aalborg 1994 e poi ribadita sempre ad Aalborg dieci anni dopo) presuppone una visione partecipata, responsabile, attiva delle comunità locali nelle scelte politiche, economiche, ecologiche e sociali del proprio futuro. La carta è stata firmata inizialmente da 80 amministrazioni locali europee e da 253 rappresentanti di organizzazioni internazioni, governi nazionali, istituti scientifici, consulenti e singoli cittadini. Il nocciolo della carta consiste nel fatto che “le città europee firmatarie (…) sono convinte dell’impossibilità di arrivare ad un modello di vita sostenibile in assenza di collettività locali che si ispirino ai principi della sostenibilità (…) Esse fonderanno pertanto le loro azioni sulla cooperazione fra tutti gli attori interessati e fanno sì che tutti i cittadini e i gruppi interessati abbiano accesso alle informazioni e siano messi in condizione di partecipare il processo decisionale locale (…)”.

Proprio in quest’ottica ha preso avvio il percorso di formazione della figura professionale dell’Agente per lo sviluppo sostenibile locale. Secondo l’idea di questo testo, che è una raccolta di strumenti formativi per una visione integrata dell’ambiente, “nella comunità locale può anche nascere più o meno spontaneamente una rete quanto mai allargata e integrata di soggetti istituzionali e sociali, che si pongono a cooperare attivamente tra loro al fine di promuovere un governo realmente eco-democratico del loro territorio, garantendo la risoluzione dei suoi problemi di sviluppo sostenibile indicato dalla Carta di Aalborg, ma difficilmente tale rete cresce e si consolida se non trova un suo “collante” ovvero un fattore di stimolo continuo, di organizzazione, di promozione culturale: e l’Agente per lo sviluppo sostenibile locale dovrebbe proprio mettere la sua professionalità al servizio della funzione di collante. Una figura per creare la quale in primis Formez, Regione Toscana, Arpat e Arpas (Sicilia), hanno progettato un percorso formativo pluriennale, a carattere innovativo sia dal punto di vista metodologico che dal punto di vista dei contenuti, denominato Mission.

Un altro obiettivo del Master, oltre a quello della formazione dell’Agente appunto, è stato quello di favorire l’affermarsi di una governance interistituzionale, tramite la sperimentazione (seppure in ambiente didattico) di processi decisionali, che vedessero più amministratori concorrere al raggiungimento di risultati via via condivisi.

Un esperimento sicuramente interessante e di ampio respiro, ma alla fine della lettura di come è stato portato avanti il progetto, degli strumenti usati (tra i quali i test a risposta multipla), dei giudizi finali, nascono alcune osservazioni critiche. Detto che ogni iniziativa che punti alla più ampia partecipazione e alla maggiore formazione dei soggetti che agiscono e alla più condivisa informazione dei cittadini è senz’altro positiva, alla fine del virtuosissimo percorso il punto resta sempre quello ovviamente di prendere una decisione (altrimenti l’iter è del tutto inutile), ma soprattutto saper sopportare chi comunque resterà legittimamente di un parere diverso e continuerà magari a criticare ciò che è stato deciso con la maggiore partecipazione, comunicazione e informazione possibile ecc ecc. Se dunque la figura dell’Agente viene vista da qualcuno come colui al quale la politica demanda la scelta finale per togliersi dagli impacci di prendere una decisione e di sopportare il successivo e fisiologico conflitto, ci pare che l’esperimento abbia ben poche chance di essere in questo senso risolutivo. Se invece è visto come uno strumento in più in mano al decisore (e questa ad onor del vero sembra essere la motivazione principale), allora ben venga. C’è però un altro problema evidente che lo stesso testo sottolinea e che rischia, fino a quando non sarà risolto, di rendere questo sforzo poco più di un esercizio di stile: la mancanza di indicatori di sostenibilità condivisi.

Lo standard scelto, relativamente agli indicatori ambientali fondamentali anche per l’Agente ai fini del suo agire, per questo progetto è infatti quello adottato a livello comunitario denominato Dpsir. Esso rappresenta un contributo significativo che integra elementi di progettualità contenuti in Agenda 21, e facilita un approccio metodologico alle tematiche dello sviluppo sostenibile. Il termine è un acronimo in cui D sta per determinanti, P per pressioni, S per stato, I per impatti, R per risposte.
Da quanto nel 1992, viene detto nel libro, è stato introdotto il concetto di sviluppo sostenibile, è sempre stata manifesta la necessità di munirsi di set di indicatori di sostenibilità che misurino l’integrazione tra la sfera economica, sociale e ambientale. A distanza di 16 anni il problema resta, nel senso che gli strumenti (vedi ad esempio l’impronta ecologica) ci sarebbero anche, ma non sono accettati da tutti e si fa una gran fatica a far passare anche solo il concetto di contabilità ambientale. Il governo di centrosinistra uscente, che per la verità ci aveva lavorato con impegno come greenreport e pochi altri hanno rimarcato, alla fine non lo ha neppure rivendicata come una buona azione.

Quindi l’esperimento proposto, ripetiamo molto interessante, che peraltro ben evidenzia come un’azione formativa “è far affiorare la contraddizione, non rimuoverla, ma affrontarla e renderla produttiva”, rischia fortemente di non aver appigli scientifici per misurare ad esempio i miglioramenti (scostamenti) che una determinata azione produce. Proprio nel modello proposto nel testo relativo alla Programmazione concertata dello sviluppo locale sostenibile in un’area rurale della Val di Chiana e della Val Tiberina, viene infatti applicato dall’Arpat il modello Dpsir, con il quale viene analizzato più in dettaglio lo scenario ambientale individuando i determinanti che producono le pressioni sullo stato dell’ambiente, con i conseguenti impatti e le possibili risposte finalizzate a regolare i determinanti, ridurre le pressioni, migliorare lo stato e mitigare gli impatti.

E’ evidente, quindi, che se si tratta di bonificare un’area questo sia abbastanza facilmente applicabile, ma se si guarda allo sviluppo sostenibile di un territorio dove appunto non si voglia più solo salvaguardare l’esistente o metter toppe sui danni già provocati, ma evitare che le azioni antropiche creino danni ex ante, servono indicatori di efficienza (collegano le pressioni con le attività antropiche), indicatori prestazionali (scostamento dall’obiettivo), indicatori di sostenibilità. Nel caso suddetto non sono stati esplicitati quali esattamente siano stati gli indicatori scelti, l’unico cenno particolare viene fatto per l’impronta ecologica “in quanto corrisponde al criterio di scelta degli indicatori che permettano di evidenziare le volontà strategia e che rendano chiari gli obiettivi, capaci di comunicare ai cittadini dei valori”.

Il punto dunque è proprio quello di cominciare con lo standardizzare questi indicatori, per poter davvero pensare e agire uno sviluppo sostenibile. Sapendo, lo ripetiamo, che anche i dati e i numeri e la scienza non tolgono l’onere e il dovere al decisore di fare le scelte e sostenerle di fronte al fisiologico conflitto.

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