[28/04/2008] Energia

Non tutte le biomasse vengono per nuocere

LIVORNO. I primi effetti dei cambiamenti climatici si fanno sentire sull’agricoltura, portando alle conseguenze di scarsi raccolti per la crisi idrica o per le piogge eccessive. Situazione aggravata dagli alti costi del petrolio che ha raggiunto i 120 dollari al barile e che ha innescato una pericolosa spirale di speculazioni finanziarie che ha coinvolto tutte le materie prime, in particolare quelle commestibili, con una conseguente crisi alimentare che potrebbe divenire la più grave conosciuta in epoca moderna. Su cui secondo alcuni incide anche la competizione fra prodotti agricoli e biocarburanti, cui sono state associate dal britannico Guardian (che gli ha dedicato un ampio pezzo in prima pagina) anche le bioplastiche, con l’accusa di aver ridotto le scorte alimentari.

Ma più che una competizione tra food e non food, quella che sembra prefigurarsi all’orizzonte appare più una guerra commerciale tra Europa e paesi americani. I produttori europei di biodiesel hanno infatti chiesto alla Commissione di imporre dazi nei confronti dei concorrenti americani, avvantaggiati dai sussidi, per limitare le esportazioni. Richieste cui Washington ha risposto a sua volta minacciando ritorsioni e su cui il presidente brasiliano Lula ha posto il carico da undici. Secondo Lula, il vero problema è che l´Europa non ha le condizioni per aumentare la propria produzione agricola e, così come gli Stati Uniti, si rifiuta di tagliare i sussidi agli agricoltori, a scapito dei Paesi emergenti e sottosviluppati, che invece hanno la possibilità concreta di aumentare la propria produzione agricola per far fronte alla scarsità alimentare e al tempo stesso produrre coltivazioni destinate ad uso energetico.

L’Europa è in procinto di rivedere la propria politica agricola, che ha già subito diverse riforme rispetto alle modalità di erogazione dei sussidi negli ultimi quindici anni arrivando, nel 2003, al disaccoppiamento tra incentivi e quantità prodotte e prevedendo un sostegno economico anche a chi non coltiva. Sostegno adesso difficilmente giustificabile agli occhi esterni, di fronte alla crisi alimentare che si prospetta durerà almeno per i prossimi tre anni.

Ne abbiamo parlato con Vittorio Prodi (Nella foto), eurodeputato membro della Commissione parlamentare europea per l’ambiente, la sanità e la sicurezza alimentare e vicepresidente della Commissione speciale sui cambiamenti climatici.
«Il problema è grave e imminente e dobbiamo muoverci sul terreno dei biocombustibili con la massima gradualità possibile. Per lo sfruttamento delle biomasse abbiamo infatti una potenzialità enorme ma dobbiamo farlo con ordine, utilizzando per prima cosa i residui agricoli, forestali e da rifiuti solidi urbani. Utilizzando questi scarti con le tecnologie classiche si può ottenere il 10-15% del fabbisogno energetico e se si convertono in gas si può ottenere il raddoppio. Con gli scarti non si va a disturbare nessun equilibrio e ci possiamo dare gli strumenti necessari per fare una analisi della situazione completa rispetto al contributo che possono dare; possiamo innescare un ciclo virtuoso di cogenerazione distribuita, utilizzando anche il calore. Si può ormai ottenere un´alta efficienza anche con piccoli impianti. In questa maniera è possibile arrivare a fare un´analisi d’impatto e trovare il giusto equilibrio tra utilizzi alimentari e a fini energetici».

Ci sono anche i residui delle coltivazioni non food da mettere in campo, no?
«Certo. nel caso italiano, ad esempio, dove abbiamo dovuto abbandonare la coltivazione di barbabietole da zucchero, si possono impiantare colture energetiche o nelle aree marginali E in quelle definite set aside. E’ un processo che va naturalmente guardato a fronte del nuovo mercato alimentare cui accedono adesso 2 miliardi di persone che prima non c’erano. Ed è evidente che prima di tutto si debba guardare alla priorità alimentare e che si deve essere molto attenti a definire i criteri per le coltivazioni energetiche per cui i margini ci sono. Siamo in un momento molto particolare del mercato e i sussidi sconsiderati che ha dato Bush hanno portato a speculazioni, in un contesto caratterizzato comunque da basse risorse disponibili, dovute anche a situazioni di siccità derivate dai cambiamenti climatici in atto. Penso ad esempio a quanto è successo in Australia. Bisogna prendere misure affinché in momenti come questi non si speculi».

Di tutto questo si dovrà tenere conto nella prossima revisione della Pac, in particolare della modalità di assegnazione dei sussidi?
«La Pac deve essere cambiata. A parte l’impazzimento dei prezzi e l’aumento dei costi delle derrate alimentari, che prima erano irrealisticamente bassi, io credo che ci sia una crisi strutturale. L’agricoltura avrà qualcosa di più ma in futuro dovremo fare a meno dei sussidi e dovremo mettere il settore nelle condizioni di sviluppare una vera imprenditorialità e trovare un nuovo equilibrio tra coltivazioni alimentari e energetiche».

Il quotidiano Guardian mette in prima pagina l’accusa verso i biopolimeri ottenuti da mais di essere competitivi con le quote alimentari, lei cosa ne pensa?
«I biopolimeri biodegradabili ottenuti da mais non saranno mai una minaccia. Anzi sono molto importanti ad esempio per tutto il settore dei sacchetti da utilizzare per la frazione biodegradabile dei rifiuti urbani e poi rientrano nel ciclo. Non mi preoccuperei davvero della loro possibile competizione con il settore alimentare. I volumi veramente importanti si hanno nel comparto energetico e credo che per questo si debba partire dai residui. Nel parlamento sto sostenendo anche la posizione che la Commissione abbandoni l’obiettivo del 10% di biocombustibili entro il 2020 per fare un ragionamento più ponderato, oltre ad essere molto cauti negli incentivi che si danno».

Torna all'archivio