[30/04/2008] Consumo

Scommesse, bluff e giochi d´azzardo sull´Italia dei consumi

LIVORNO. Uno dei primi sintomi della crisi americana è stato l´aumento della vendita dei biglietti della lotteria, cosa che sta ancora continuando. Le famiglie in periodi di crisi sognano il colpaccio per uscire dalla crisi, e guardano sempre più la televisione che presenta una realtà fatta di gente considerata comune (veline, tronisti, calciatori, soubrette...) che il colpaccio lo ha fatto anche senza biglietto e merita quindi di essere sotto i riflettori. Prima ci si rifugiava nella fede, con la promessa di un mondo più giusto dopo la morte, ora invece nel sogno di un miracolo economico personale.

Con questo punto di osservazione guardiamo quindi con una certa preoccupazione quanto riporta oggi il Sole24Ore in terza pagina del Centro Nord, relativamente al business del gioco. “Spazi più ampi per le scommesse” è il titolo con un occhiello nel quale si specifica: Entro luglio prevista l’apertura di 2.286 sale di accettazione sportive e ippiche. “I cavalli non scommettono sugli uomini” scriveva Charles Bukosky, ma gli uomini scommettono e tornano a scommettere, sempre più proprio all’ippodromo, che il Sole giudica un “segmento in rilancio dopo anni di flessione”.

Bene anche il business delle slot machines, con trenta aziende emiliane che tra l’altro hanno il 70% della produzione nazionale. Alcuni numeri per capire il fenomeno: in Toscana il fatturato nel 2007 delle new slot è stato di 913,9 milioni di euro: +22,4% rispetto al 2006; gratta & vinci 409,4 milioni con +101,7 % rispetto al 2006. In tutto tra Lotto, Superenalotto, Superstar, Bingo, Scommesse sportive e non, Scommesse ippiche, Ippica nazionale, Totocalcio, Totogol, Totip si arriva a 7.365 milioni di euro con un +18%. Questo nel solo Centro Nord. Crediamo che la media nazionale non sia molto diversa e soprattutto non siamo molto d’accordo che questa ripresa sia solo l’effetto delle liberalizzazioni di Bersani come dice il Sole.

Il fatto è che tralasciando i casi patologici, i giocatori incalliti hanno problemi almeno al pari degli alcolisti, tutto questo business nasce comunque attorno ad un vizio che cresce proprio nei momenti di maggiore crisi. Basterebbe vedere quanta gente in questo periodo si rivolge ai maghi per capire quanto sia dirompente il fenomeno. Fenomeno che è immerso fino ai capelli dentro un modello economico (ossessivo-compulsivo) che centrifuga tutto in nome del consumismo senza se e senza ma.

Basta vedere, a proposito di fenomeni generati e indotti dalla società, quanto sempre il Sole riporta oggi nelle prime pagine circa le attese dei consumatori italiani. Scrive infatti il professor di psicologia dei consumi Claudio Bosio che i consumatori erano in crisi di fiducia fino a poco prima delle elezioni, ma dopo il 14 aprile c’è stata una grande ripresa proprio figlia del risultato delle urne. “Come si osserva dalla scomposizione dell’indice generale di fiducia sulla base degli orientamenti politici – spiega Bosio – gli elettori di centro-destra mostrano una vera e propria escalation di fiducia segnando un aumento di più di 40 punti per effetto del successo elettorale”. Questa è la distanza, si potrebbe dire il sistema metrico, con la quale si dovrebbe misurare la distanza che c’è tra quello che si vorrebbe e la realtà di fatto. Con il nuovo governo il paese non si sa se crescerà o meno ma vivrà probabilmente un periodo (forse anche breve) di ripresa dei consumi figlio di un ritrovato entusiasmo da parte di una larga maggioranza del Paese: ci saranno applausi bipartisan e ancora crociate contro il vecchio governo e quel che resta della sinistra extraparlamentare.

E in un clima dove escono libri, come quello di Emanuela Scarpellini (L´Italia dei consumi) presentato oggi sul Corriere della Sera, che analizzando un secolo di vita materiale rivaluta gli anni Settanta come il “periodo in cui anche fra le classi popolari si diffuse il possesso dei beni durevoli” – e quindi il consumo di massa confisse in Italia gli anni di piombo – bisogna rendersi conto di dove la nave sta andando. Ovvero verso un domani ancora assai materiale, fatto di ‘beni sempre meno durevoli’, e di consumi possibilmente sempre maggiori. Il nesso tra questo e la sostenibilità ambientale e sociale appare evidente, ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

Torna all'archivio