[02/05/2008] Comunicati

La scomoda verità e la favola della campagna elettorale americana

LIVORNO. Il previsto effetto del premio Nobel ad Al Gore non sembra proprio esserci nella campagna elettorale americana, tanto che il presidente del Worldwatch Institute, Christopher Flavin, scrive sconsolato: «Per chi non fosse ancora scoraggiato dallo stato della politica americana, l’ultima proposta della campagna presidenziale può portare alla fine il cinismo a trionfare sulla speranza».

Flavin si riferisce alla proposta bipartisan del repubblicano John McCain e della democratica Hillary Clintont che hanno chiesto una summer gas-tax holiday che prevede una riduzione delle tassazione sui carburanti di 18 centesimi di dollaro al gallone nel periodo delle vacanze estive. Una piccola frazione dell’aumento del prezzo della benzina avvenuto negli Usa negli ultimi tempi e che probabilmente, invece che nei serbatoi dei consumatori, resterà nelle tasche delle compagnie petrolifere che, guarda caso, sono tra i principali finanziatori della costosissima campagna elettorale dei candidati alla presidenza Usa. Il risultato finale, secondo alcuni economisti Usa, sarebbe un aumento della redditività delle raffinerie di petrolio statunitensi ed un ulteriore calo delle entrate per il già magro bilancio per la salute pubblica negli Usa.

«In un momento in cui anche il presidente Bush riconosce che gli Stati Uniti sono dipendenti dalle importazioni di petrolio – scrive Flavin – è scoraggiante vedere i candidati alla presidenza offrire solo un’altra soluzione temporanea, invece della cura di questa malattia che porta la firma americana. La bassissima tassazione Usa sulla benzina (rispetto agli standard internazionali) è in parte responsabile di aver portato il Paese all’odierna disastrosa situazione sull’energia. Ridurre ulteriormente tali imposte, renderebbe solo il problema peggiore. Aggiungerebbe altro deficit al bilancio, indebolirebbe ulteriormente il dollaro, contribuendo ad ulteriori aumenti del petrolio».

Con il petrolio ad oltre 110 dollari al barile e la benzina arrivata a quattro dollari al gallone (una cifra bassa per il mercato dell’Ue) negli Stati Uniti si tende a dare la responsabilità dell’aumento dei prezzi alla crescente domanda energetica di Cina ed India, ma secondo Flavin «Gli americani dovrebbero invece guardarsi allo specchio». Nel 2007 gli Usa hanno consumato il doppio del petrolio di India e Cina messe insieme, il consumo procapite Usa è 12 volte quello cinese e 30 volte quello indiano e, a differenza degli Usa, nei due Paesi più popolosi del mondo solo una piccola frazione di petrolio finisce nei serbatoi delle auto private.

Il problema è che lo specchio presentato da Al Gore con il film “An Inconvenient truth” è diventata improvvisamente una verità davvero sconveniente in un’America segnata dalla paura per la recessione e, come successo anche in Italia, in campagna elettorale lo specchio dell’ambiente è meglio nasconderlo in una polverosa e buia cantina dietro una porta pesante che non ci faccia sentire i colpi delle rivolte nei Paesi in via di sviluppo, il crepitare dei kalashnikov nelle guerre per le risorse naturali e i lamenti dei profughi ambientali.

«Invece di ridurre le tasse sui carburanti – dice il presidente del Worldwatch Institute – i leader politici Usa dovrebbero proporre politiche forti per ridurre il consumo di petrolio ed incentivare lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile. Norme più rigorose sui carburanti, aumento degli investimenti nei mezzi di trasporto pubblico, investimenti per l’efficienza energetica e la produzione di veicoli ibridi ed elettrici, potrebbero fare una grande differenza e sono di lungo periodo. Se il prossimo presidente continuerà a trattare i problemi energetici del Paese a breve termine e come un’opportunità politica invece che come la maggiore sfida nazionale, l’economia Usa e la global leadership della nazione proseguiranno nel loro rapido scivolamento verso I basso. La produzione di petrolio è in declino in molti dei maggiori Paesi produttori, inclusi Gran Bretagna, Indonesia, Messico, Norvegia, Venezuela e Stati Uniti. Una recente analisi del trend globale del petrolio del Cibc World Markets prevede che nei prossimi anni la domanda di petrolio sarà superiore alle forniture e che i 200 dollari per il petrolio e i 7 dollari per il gas possono essere all’orizzonte».

Eppure i candidati alle presidenziali Usa , mai come questa volta, avevano dedicato inizialmente fiumi di parole al riscaldamento globale ed alla sicurezza energetica, scapicollandosi in tour tra pale eoliche, pannelli fotovoltaici e promettendo di cambiare lo status quo energetico. Ma quando si è trattato di dire agli elettori quali siano le scelte difficili da fare e squadernare la scomoda verità sull’insostenibile american way of life, hanno guardato i sondaggi ed il marketing elettorale ha suggerito di parlare di altro. La favola dell’energia, tanta e disponibile per tutti con gli stessi livelli di consumi di oggi, non può essere letta fino all’ultima pagina agli ingenui elettori, perché il lupo cattivo del petrolio muore solo se si cambia stile di vita e di consumi. E’ meglio che i votanti repubblicani e democratici vadano a dormire tranquilli, sperando di poter fare un po’ più di chilometri in vacanza grazie alla detassazione della benzina. Una cosa è certa: dopo la favola e la tenzone elettorale, chiunque sia il prossimo presidente Usa si troverà comunque nella scomoda posizione di dire come si fa ad uscire da questa crisi energetica mondiale.

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