[06/05/2008] Energia

Sconti sulle accise dei carburanti, un bonus che pesa sull´ambiente

MILANO. Mentre il prezzo del petrolio veleggia verso i 120 dollari a barile e il prezzo nostrano del carburante raggiunge nuovi record, è giunto a scadenza il cosiddetto “bonus fiscale” sulla benzina deciso meno di due mesi fa dal precedente governo. Ci si chiede dunque se il nascente governo intenda rinnovarlo, ma in ogni caso rimarrà scoperto un periodo di qualche settimana, durante il quale il prezzo del greggio potrebbe subire nuove impennate. Codacons, Adusbef e Federconsumatori chiedono intanto che la misura dello sconto sia quadruplicata e che vengano operati interventi strutturali nel mercato della distribuzione. Vale la pena allora di cogliere l’occasione della vacatio legis per ragionare sull’opportunità o meno di un rinnovo e il punto da cui partire è il funzionamento del meccanismo sottostante al bonus.

La questione è nota: di fronte ai ripetuti aumenti del prezzo della materia prima che si scaricano sul prezzo dei carburanti, le associazioni dei consumatori e gli utenti reclamano da tempo un intervento del governo sulla fiscalità. La ragione sta nel fatto che l’imposta sul valore aggiunto si commisura percentualmente sulla somma di prezzo industriale (di cui quello del greggio è la componente predominante) e accisa: ogni aumento del prezzo del greggio viene traslato sul prezzo finale in maniera che risulta amplificata. Ciò crea un vantaggio per il Tesoro che vede accresciuto automaticamente il gettito e danneggia i cittadini che vedono appesantita la spesa di questa voce.

Per correggere l’anomalia per cui “lo Stato finisce per essere cointeressato agli aumenti del greggio”, la Legge finanziaria 2008 ha finalmente accolto la richiesta d’intervento che ha poi trovato concreta applicazione nel decreto appena scaduto. Il decreto, firmato dal duo Bersani-Visco il 7 marzo scorso, stabiliva che dalla data di entrata in vigore e fino al 30 aprile 2008 i cittadini potevano usufruire di una diminuzione della componente fiscale di complessivi 2 centesimi per ogni litro di benzina e di gasolio e per ogni chilogrammo di Gpl (equivalente a una riduzione di 1,1 centesimi di euro per ogni litro). Il decreto, inoltre, azzerava l’accisa sul gas naturale per autotrazione.
Ma cosa disponeva esattamente il legislatore? Anzitutto i commi 290-294 dell’articolo 1 della Finanziaria 2008 non introducono automatismi come forse i cittadini utenti avrebbero desiderato. Il perno del provvedimento è rappresentato dal livello del prezzo del greggio indicato nel Dpef. Questo è stato fissato al 71 dollari/barile, coerentemente con il quadro macroeconomico tracciato in quel documento.

Il decreto fissa anche il prezzo soglia che attiva la facoltà d’intervento dell’esecutivo: se nella media del periodo (quindi dal 1 gennaio al 10 marzo 2008) il prezzo del petrolio in euro cresce in misura pari o superiore al 2 per cento del livello del Dpef, e cioè supera il livello di 72,42 dollari convertiti in euro, allora il governo può emanare un decreto che disponga la riduzione delle aliquote delle accise in modo da compensare le maggiori entrate dall’Iva.

Il meccanismo non opera in via automatica né in tempo reale: ci vuole infatti un atto del governo e questo può essere adottato con cadenza trimestrale. Ciò significa che una volta emanato, il prossimo intervento può essere adottato solo dopo tre mesi, anche se nel frattempo il prezzo del greggio è costantemente aumentato. Se ha fatto le bizze, salendo e poi flettendo, il decreto potrebbe non essere emanato affatto.

Una clausola degna di nota è che il meccanismo è applicabile a patto che per sei mesi il prezzo medio del petrolio non sia sceso al di sotto del livello fissato nel Dpef. Se ciò si verifica il provvedimento non può essere preso per sei mesi, anche quando il prezzo del greggio avesse (ri)preso a galoppare.

La riduzione delle accise, se ripetuta, non può comunque scendere sotto i livelli minimi stabiliti in sede comunitaria, secondo quanto chiarito dal comma 292, ma come notava sul Corriere della sera di sabato 3 maggio il commissario alla Fiscalità Laszlo Kovacs, “si sa che l’Italia è ben al di sopra di tale soglia”, dando così la sua benedizione a questo tipo di interventi.

In sostanza, pare che il governo Prodi abbia accontentato le associazioni dei consumatori, ma che si sia riservato ampi margini di discrezionalità. Infatti, mentre il gettito cresce automaticamente quando il prezzo del petrolio sale, il cosiddetto sconto fiscale non si attiva automaticamente, ma viene disposto per decreto, il che potrebbe in linea di principio non aderire al criterio della tempestività. La cadenza trimestrale, la clausola del semestre per la non applicabilità, la misura dell’incremento sono tutti aspetti decisi discrezionalmente dal governo.

L´accisa e l´ambiente.
Quando il prossimo governo Berlusconi si accingerà a decidere se intervenire nuovamente, per le pressioni iniziate non appena scaduto il precedente decreto, sarà utile che tenga in debito conto alcune considerazioni.
La prima riguarda la motivazione di fondo dell’intervento. Perché si dovrebbe attenuare la fiscalità sui carburanti? Una risposta è che sono inflattivi, stante l’accentuata dinamica del prezzo del petrolio. Un’altra risposta, meno rigorosa, è che si tratta di prodotti “sensibili”, relativamente ai quali il pubblico, le associazioni e i politici sono assai reattivi. Si tratta di argomentazioni deboli, soprattutto se si pensa ad altri beni – e i generi alimentari sono i primi che vengono alla mente – che sotto quei punti di vista rispetto alla benzina non sono certo da meno.
Una differenza importante è che molti prodotti, come quelli alimentari appunto, sono gravati dall’Iva, ma non dall’accisa. Questa è un’imposta sulla produzione la cui funzione è stata storicamente quella di produrre gettito, ma che oggi non può non essere considerata sotto il profilo della correzione dell’impatto ambientale. Se si accetta questa impostazione, e non può né deve essere altrimenti, allora si deve concludere che in un periodo di allarme per le crescenti emissioni di gas-serra e di inquinanti locali (soprattutto il PM10) l’accisa non deve essere ridotta.
Se proprio si intendesse intervenire, si potrebbe decidere una riduzione “virtuale” delle accise, disponendo che la somma – il decreto precedente restituiva 162 milioni di euro – venga utilizzata per favorire misure di risparmio energetico o per incentivare le energie rinnovabili. Ai cittadini verrebbe comunque recato un vantaggio senza inviare loro un segnale sbagliato, e cioè che la tassazione delle fonti fossili di energia si può ridurre. Purché naturalmente, e qui sta la difficoltà tutta italiana, l’intera operazione risulti credibile.

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