[13/05/2008] Comunicati

Lezione dal Myanmar: ora e subito una Protezione Civile globale

ROMA. «Per salvare migliaia di vite umane prima che sia troppo tardi, è urgente che le nazioni Unite e i governi stranieri intervengano immediatamente in Birmania per fornire assistenza e aiuti umanitari direttamente alla popolazione, senza aspettare il permesso della giunta militare» ha chiesto a gran voce il cartello che raggruppa gli oppositori ai generali di Rangoon. Ponendo un problema tragico ma di soluzione niente affatto banale.
Cosa deve fare la comunità internazionale nel caso di un grande disastro ambientale – quale si è rivelato il ciclone Nargis che ha colpito nei giorni scorsi la Birmania – nel caso che il governo del paese colpito è incapace di gestire la situazione e rifiuta ogni aiuto esterno, provocando con questo atteggiamento la morte di centinaia di migliaia di persone?

La domanda non riguarda solo il caso, clamoroso e attuale, della Birmania. Ma ha una valenza molto più generale. Perché i cambiamenti del clima stanno facendo aumentare la frequenza di eventi meteorologici estremi simili al ciclone Nargis, che metteranno a dura prova la capacità di difendere la popolazione in vaste aree che soffrono oltre che per vulnerabilità ambientale anche per carenza di democrazia. Insomma, in futuro è possibile che si verifichino nuovi «casi Birmania».

Molti, in queste ore, stanno cercando di rispondere a questa domanda. Soprattutto fuori dall’Italia. In Francia come negli Stati Uniti, molti chiedono interventi unilaterali. E in Gran Bretagna l’ex ministro laburista inglese Denis MacShane sostiene che quello birmano è un autentico genocidio, perché il governo dei generali è causa della morte di migliaia di persone, e quindi è giustificato quell’«intervento umanitario» coatto che è stato evocato (con diverso esito) per il Ruanda e il Darfur, e messo in pratica in Irak come in Afghanistan.

MacShane propone un “intervento umanitario” armi in mano che prescinda persino dalle Nazioni Unite. Insomma, la guerra. Ma sarebbe davvero bizzarro – una tragica bizzarria – seminare morte con una guerra guerreggiata ai generali birmani per salvare vite umane da un ciclone.

Tuttavia il problema resta. Non è possibile che il mondo assista inerte alla morte di così tante persone per la negligenza di un governo di fronte a una catastrofe ambientale. E allora, forse, la soluzione passa attraverso la costituzione di una sorta di Protezione Civile globale che, sotto l’egida delle Nazioni Unite e con l’aura di assoluta neutralità della Croce Rossa, sia in grado di intervenire prontamente in qualsiasi parte del mondo in situazioni di emergenza ambientale, come quella che si è verificata in Birmania.

Questa “esigenza umanitaria”, emersa già all’indomani dello tsunami del 26 dicembre 2004 che colse impreparati l’Indonesia e molti altri paesi che affacciano sull’Oceano Indiano, dopo la catastrofe birmana non è più derogabile.

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