[19/05/2008] Energia

Lo sgocciolio di petrolio della Basilicata... a che pro?

LIVORNO. In Basilicata il nuovo Texas italiano? Sembrano non avere dubbi alla Total, che in joint venture con Shell e Exxon, si appresta a rendere operativo il secondo giacimento lucano dopo la Val d’Agri.
Nella valle del Sauro, territorio di Corleto Perticara, dove tra un mese aprirà il cantiere di lavoro per l’allestimento del Centro Olii, si prevede di andare ad estrarre 50mila barili di petrolio e 350mila metri cubi di gas, già nel 2012, contribuendo a ridurre la dipendenza delle importazioni dall’estero.

Alla soddisfazione che si respira al quartier generale della Total, non sembra però corrispondere analogo stato d’animo tra gli ambientalisti.
Ma quanto è redditizio investire ingenti risorse sul petrolio di casa nostra? Può davvero rappresentare la strada verso l’autonomia energetica del paese? Domande a cui cerca di rispondere il dossier "Alla ricerca del Texas italiano” presentato a febbraio da Legambiente proprio in merito allo sfruttamento dei giacimenti nazionali.

In Italia, secondo le stime di British Petroleum (BP - Statistical review of world energy, 2007) al 2006 le riserve di petrolio erano di circa 700 milioni di barili, corrispondenti allo 0,06% del totale delle riserve mondiali e la durata stimata è di 18,2 anni.
Dai dati del ministero dello Sviluppo economico risulta che nel nostro Paese ci sono, come riserve recuperabili (ovvero la somma delle certe più il 50% delle probabili e il 20% delle possibili), circa 109 milioni di tonnellate di petrolio, di cui il 95% (104 milioni di tonnellate) deriva dalla terraferma e il restante 5% (5 milioni di tonnellate) dal mare; a fronte di un consumo annuale che nel 2006 si è attestato sugli 85 milioni di tonnellate. Quantitativi che non garantirebbero né una sostanziale riduzione delle importazioni, né un abbassamento della bolletta energetica nazionale ma solo profitti per le aziende petrolifere a fronte di una seria ipoteca sul futuro dei territori, con compromissioni ambientali tutt’altro che irrilevanti.

Non convincono gli ambientalisti nemmeno i dati che riguardano i benefici sul territorio.

La compagnia francese che ha già investito 250 milioni di euro nel progetto lucano, prevede di investire altri 800 milioni di euro e l’associazione d’imprese che si è aggiudicata la gara per la costruzione del Centro Olii, prevede di assumere tra i 220 e i 240 lavoratori, non solo serviranno poi professionalità per la gestione, la costruzione degli impianti, il collegamento dell’oleodotto sino alla raffineria di Taranto, insomma un vero e proprio «laboratorio naturale su cui investire per formare quella professionalità di cui ha tanto bisogno l’industria petrolifera mondiale» ha dichiarato l’amministratore delegato di Total Italia, Lionel Levha.

Ma non di questo avviso sembra invece essere Legambiente, che sempre nel rapporto sullo sfruttamento petrolifero in Italia riporta che: «i dati riscontrati nel territorio lucano parlano di spopolamento progressivo e nessuna ricaduta sull’occupazione diretta, la manodopera impiegata è altamente specializzata e proviene da altre regioni. Quanto alle ricadute indirette, la ricchezza promessa dalle royalties non si è vista, mentre il trasporto di petrolio in autocisterne ha già provocato incidenti pericolosi e sversamento di inquinanti».

«La storia delle trivellazioni in Lucania è lunga e complessa - continua il rapporto - e gli appetiti delle compagnie petrolifere riguardano anche parchi e aree protette già istituite, a testimoniare che nemmeno i vincoli e le leggi approvate per la tutela del territorio riescono a frenare la “scelta petrolifera”, sebbene sia ormai evidente la sua inefficacia rispetto alla soluzione dei problemi economici e sociali delle aree interne, costituendo un freno alle altre prospettive di sviluppo, legate al patrimonio naturalistico e culturale dell’area».

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