[20/05/2008] Energia

La Germania vola con le rinnovabili, l´Italia arranca coi distretti

LIVORNO. In piena controtendenza rispetto ai venti di recessione, che spirano anche in Europa, in seguito alla crisi finanziaria internazionale, la Germania ha registrato nel primo trimestre di quest’anno un aumento del Pil dell’1,5%, il risultato migliore degli ultimi 12 anni. Dietro a questi dati positivi dell’economia tedesca, si legge nell’annuncio dell’Istituto di statistica che lo ha reso noto, vi sono investimenti interni delle aziende in macchinari e del settore immobiliare.

E oggi da un articolo sul Sole 24 ore, si apprende che la gran parte di questi investimenti che fanno da traino all’economia tedesca sono nell’industria ambientale. Con al primo posto il settore delle energie rinnovabili che ha visto crescere il numero delle persone impiegate da 160mila a 249 mila tra il 2004 e il 2007 e con una quota di export cresciuta da 2,5 a 12 miliardi di euro nello stesso periodo. Nello specifico, nel campo dell’energia eolica, i posti di lavoro sono passati in 10 anni da 10mila a 80mila e la quota di esportazioni è divenuta pari a 8 miliardi e nel solare, l’export arriva ormai al miliardo di euro, dai 190 milioni del 2004. Cui si aggiunge il 45% delle società edili tedesche impegnate nella costruzione di edifici ecologici. Dati che confermano che questo è un settore di grande valenza sia per le questioni ambientali, perché permette di combattere l’effetto serra e il surriscaldamento del pianeta, che per le questioni economiche. O se si vuole a dimostrazione del fatto che se l’ambiente lo si considera un volano anziché un vincolo, i risultati non tardano a venire.

Le imprese tedesche, quindi, dopo aver raggiunto posizioni d’avanguardia (che ancora mantengono) nel settore della gestione dei rifiuti e delle acque, adesso si posizionano ai primi posti nel campo delle energie rinnovabili, dell’efficienza e del risparmio energetico. Tutti settori dove al contrario le aziende italiane, in gran parte piccole e medie e organizzate in distretti, sono spesso al palo e che per affrontare la crisi dell’economia mondiale che non fa più da traino (già da un anno a questa parte per l’Italia) devono optare per una scelta evolutiva se non voglio scomparire.

Evoluzione che deve essere di prodotto, secondo alcuni osservatori, per rispondere alle richieste del mercato e posizionarsi su settori di nicchia. Evoluzione che, secondo altri osservatori, deve invece riguardare più nello specifico il modello di organizzazione, per ritrovare una propria originalità.

Sta di fatto che anche quello che ha rappresentato per tanto tempo il motore dell’economia italiana, ovvero il modello dei distretti, sembra segnare il passo di fronte alla crisi generalizzata anche se «nonostante la congiuntura economica sfavorevole, nel complesso stanno bene» afferma il presidente dei distretti italiani, Paolo Terribile, che chiede come impegno all’attuale Governo di dare contributi economici ma soprattutto «accordi per il trasferimento tecnologico e per favorire la collaborazione tra imprese e università».

La domanda è allora come sempre quale innovazione tecnologia e finalizzata a cosa? In Germania, come si è visto, aver puntato sull’innovazione tecnologica legata all’industria ambientale ha pagato. In Italia, che deve tenere conto del diverso modello manifatturiero, impostato su una frantumazione di imprese sul territorio, si era provato a dare una risposta con il progetto Industria 2015 impostato dall’ex ministro Bersani.

Un progetto che mirava a dare entrambe le risposte evolutive richieste al modello d’impresa italiano: quella di innovarsi in campo tecnologico, orientando i progetti attraverso il finanziamento di quelli rivolti ad ottenere processi a minor consumo energetico e di materie prime e prodotti più ambientalmente sostenibili. Allo stesso tempo si premiava la costruzione di filiere e la collaborazione tra piccole e medie imprese e si finalizzava il raccordo con le università al trasferimento di conoscenza specifica, per implementare la ricerca tecnologica.

Un progetto che la Federazione dei distretti chiede che venga rimesso tra le priorità del governo in tema di sviluppo, per completare quanto già previsto e dare ulteriore impulso ai distretti industriali e alle reti d’impresa.

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